Waiting for a Superman

Pochi forse sanno, e sottolineo forse, che uno dei brani più famosi dei Flaming Lips, “ Waiting for a Superman ” (da “The Soft Bulletin”), non parla e non è ispirato, come può sembrare, al mitico eroe dei fumetti e ad una sua crisi da overdose di kriptonite, bensì sia una riflessione filosofica basata sulla esperienza, tanto diffusa quanto dolorosa, della perdita del padre (morto di cancro), vissuta da Wayne Coyne in giovane età.

Sempre sorprendenti questi weirdos americani, non c’è che dire, sembrano dei buontemponi fancazzisti e fumettari e poi, sotto sotto, ci spacciano e ci imbottiscono, per chi le vuol sentire, di riflessioni esistenziali e filosofiche (condite di una malinconica poesia) ispirate a Nietzsche:

Ti feci una domanda
Ma non fu necessario mi rispondessi.
Sta diventando pesante?
Ma allora mi resi conto
Sta diventando pesante?
In verità pensavo non potesse essere più pesante di quanto già fosse.
...
Dite a tutti quelli che aspettano un Superuomo
Che dovrebbero tentare di attendere al meglio che possono
Egli non li ha abbandonati, dimenticati, o qualsiasi altra cosa
E’ solo troppo difficile per un Superuomo alzarsi da terra


E’ la vita umana andarcene uno alla volta passando a testimone a chi rimane una domanda senza risposta (ha veramente senso venire al modo se un giorno comunque dovremo lasciarlo?) che ci sorprende ogni volta che ce la facciamo, come se fosse la prima, specialmente quando a lasciarci sono le persone che amiamo? L’acqua del fiume Lete sarà davvero sufficiente a continuare a dissetarci tutti prima che un Superuomo riesca davvero a sollevarsi da terra?

Francesco De Gregori ultimamente ha dichiarato in un intervista di sentirsi ormai distante sia dagli scienziati che dai filosofi e dal loro impegno nella ricerca della Verità. Per me sta diventando lo stesso.
Di sicuro non mi consola sapere che io e i miei cari facciamo parte della Natura, che i miei e i loro atomi continueranno a vivere in un albero, in un fiore, o nel cuore pulsante di un’aquila.
E non mi consola neanche se le cose che amo, la mia mente, il contenuto del mio strano anello cerebrale (come direbbe Hofstadter) e di quello dei miei cari, la mia “anima” in versione informatica, potrà sopravvivere in parte nei pensieri di chi ci sopravviverà o addirittura in un computer quantistico.

Non mi interessa la meccanica quantistica e la mia funzione d’onda. Non mi interessa la filosofia Zen e “Muore il nonno, muore il padre, muore il figlio”. Se sono solo un mucchio di atomi, parlo a nomi di tutti: vogliamo solo rimanere tutti insieme uniti in questo corpo, abbracciati alla nostra anima.
Per sempre. E lo stesso voglio succeda ai miei cari. Solo una piccola pausa è concessa.

Ci posso riuscire? La mia ingenua formazione cristiano-cattolica-ellenistica forse mi può aiutare.
Se invece il mio corpo è davvero un insieme di atomi che solo per caso non sono quelli di un tavolo e la mia anima è solo un arcobaleno, se sono solo un’illusione senza fissa dimora che cammina e pensa casualmente all’interno di questo cervello... illusione sono anche queste mie parole che lascio qui scritte.

E sono sicuro moriranno con me.


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