Trilogia della Crisi - Cap. I "Chinese Democracy"

"Ogni uomo, per essere felice, dovrebbe avere un pizzaiolo, un kebabbaro e un negozio di dischi di fiducia”
(Anonimo Bartolomeo, 2013)

Il mio pizzaiolo di fiducia si chiama Geppino, all’anagrafe Giuseppe Tortorella (nome di fantasia, ma magari anche no), classe 1940, emigrato negli anni Sessanta da Caianello (CS), titolare del Ristorante Pizzeria “Il Veliero d’Oro” di Bartletown.

E’ stato per anni il pizzaiolo di fiducia di mio padre, finché il diabete, il cardiologo e mia madre che ci scassa la minchia a tutti con ‘sta storia che si mangiano troppi carboidrati, hanno deciso che il mio vecchio, in pizzeria, non ci doveva più mettere piede.
E così, oggi, Geppino è il MIO pizzaiolo di fiducia.

La storia di Geppino è uguale a quella di tanti altri “saliti al nord”. Valigia di cartone, italiano stentato, tutti che ti chiamano “uè tèrùn”, cento figli da mandare a scuola. Poi viene fuori che fai una Napoli che è pura poesia, la moglie se la cava in cucina, la figlia più grande la metti alla cassa, il figlio disgraziato a servire ai tavoli anche se sono più i piatti che rompe di quelli che riesce a servire.
E allora va a finire che ti puoi permettere di comprarti un posto che è solo tuo.
E finisce che la gente ti conosce e ti vuole bene e ti viene a trovare.

La storia di Geppino, dicevo, è uguale a quella di tanti altri.
Però a me piace un po’ di più delle altre.
Perché lui non la racconta mai.
Perché è vera.

Notizia dell’ultimo mese o giù di lì: Geppino ha venduto “Il Veliero d’Oro”.
Ai cinesi.

Quando me l’hanno raccontato non ci volevo credere e così settimana scorsa ho buttato dentro la testa con la scusa di una Bufalina e una Capricciosa col salame piccante e sono riuscito a scambiare quatto parole con Geppino.
In pratica funziona così: la figlia s’è sposata e il marito s’è rotto le palle che lei rientra all’una di notte sei giorni la settimana, il figlio ormai ha finito l’università e di rimanere a lavorare in pizzeria non se ne parla, Geppino e la moglie hanno settant’anni e sono stanchi.
Poi le tasse sempre più alte, i controlli dell’ASL sempre più rigidi, il commercialista, i dipendenti che guai a chiedergli di fare mezz’ora in più…
Tutto troppo difficile, tutto troppo complicato.

Mio padre dice che se le cose vanno a rotoli è colpa della mia generazione di ultratrentenni sfaccendati e bamboccioni, senza spina dorsale e senza spirito di sacrificio. Mia madre dice che è colpa della crisi, della kasta, del governo (ladro). Mia sorella che è colpa dei musi gialli che non muoiono, dei pakistani che dormono in venti in un appartamento senza pagare l’affitto, dei marocchini che si ubriacano, degli albanesi che stuprano le nostre donne e saccheggiano i nostri villaggi.

Io non so nemmeno se c’è, una colpa.
Figuriamoci se so di chi è.

Però mi piacerebbe riuscire a pensare che dietro ai nuovi proprietari, dietro quelle facce giallognole più o meno tutte uguali, dietro quei sorrisi un po’ ebeti di chi non capisce mai veramente del tutto quello che gli stai dicendo, dietro quelle cucine sistematicamente impresentabili, ci possano essere storie come quella di Geppino.

Forse non basterebbe a rendere la loro Napoli altrettanto buona.
Ma almeno renderebbe il tutto un po’ meno triste.


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