
Supereroi
Se c’è una cosa di cui è ancora lecito stupirsi è che in certe giornate, ubriache di sole primaverile, tutto può diventare bello: anche le erbacce che spuntano tra i marciapiedi come peli dal naso o dalle orecchie, anche le carrozzerie brilluccicanti delle macchine parcheggiate e persino questo orribile casermone che si erge per cinque piani qui a vicolo Scassacocchi, tra i rifiuti lasciati ad essiccare ed il piscio dei cani.
Una luce violenta e vitale penetra e stravolge gli anfratti, trasfigura le sagome e le cose e, i muri, denudati dal sole, si mostrano impudicamente all’occhio con gioiosa vitalità.
Allora diventa plausibile che persino questo lurido appartamentino, ricavato in un angolo del secondo piano, a qualcuno possa sembrare una casa dove poter vivere e che stranieri o studenti siano qui fuori a far la fila per entrare - come dice il padrone di casa - e che ci sia addirittura un cinese che ci vuol portare tutta la famiglia, moglie, figli e suoceri a carico, e che pagherebbe ben più di quel paio di centinaia di euro che, oltretutto, Ernesto non paga già da qualche mese.
Brutto vizio, quando si è lavoratori precari, il voler continuare a vivere, mangiare almeno una volta al giorno, vestirsi e voler avere finanche un tetto sulla testa. Anche quando il proprio contratto atipico è ormai scaduto già da un po’ e non si è neppure poi così giovani.
Eppure, forse rapito dal colore di quella luce straniante che, invadendo la stanza dall’unica finestra, illumina tutto quel luogo fino a poco prima così grigio, portando con sé un odore di fresco e di pulito, Ernesto si sente invaso da una strana calma.
Non si può odiare in una giornata così splendida di primavera.
Non si può continuare a piagnucolare quando la vita esplode tutt’intorno.
Perciò Ernesto prende una decisione: diventerà un supereroe.
A tutti piacciono i supereroi, anche a Ernesto piacciono i supereroi. Soprattutto gli piacciono i cattivi, perché li riconosci, lo vedi che sono cattivi: si vestono da cattivi, parlano da cattivi.
Beato il mondo che non ha bisogno di eroi, ma questo mondo fa schifo, fa così schifo che altro che eroi: ci vogliono i super eroi!
Quando hanno cominciato a piacerci così tanto i supereroi?
Semplice: quando hanno smesso di piacerci le idee.
Anche io quando ero giovane amavo le idee: erano belle, erano rotonde, erano lucenti le idee! Ed era cosi facile distinguere le idee buone da quelle cattive.
Le idee cattive si vestivano da cattive, parlavano da cattive, si capiva subito che erano cattive.
Poi le cose hanno cominciato a diventare complicate: belle idee producevano figli cattivi e altri figli cattivi facevano cose buone che poi diventavano cattive e dai semi di rose nascevano solo spine.
I supereroi non lo vogliono cambiare il mondo, sono le idee che si sono messe in testa di cambiarlo.
I supereroi – biff, pùm, spack. tong – picchiano i cattivi e, poi , tutto rimane come prima in attesa che arrivi un altro cattivo e, alla fine, è meglio così.
La verità è che un mondo migliore non fa per me: io finirei subito in galera in un Mondo Migliore.
Un tempo le idee erano un lusso che potevano permettersi solo i giovani, adesso sono un passatempo ozioso per i vecchi.Ma a Ernesto tutto questo non interessa, lui pensa: “perché no? perché io no?”
Basta con le recriminazioni, l’odio, l’autocommiserazione, tutto questo non serve, tanto le cose non cambiano, bisogna offrirsi al mondo, agire, combattere il male, difendere e salvare la Vita.
Sì anche quella di quello stronzo del padrone di casa o di quelle ragazze così belle, i cui sguardi ti attraversano come se tu non fossi niente e che si chiederanno chi sia quell’eroe che le ha salvate e sogneranno di baciarlo, senza sospettare che dietro quella maschera ci sia quel tizio, strano e taciturno, che vive in una stanzetta di quell’orribile casermone a vicolo Scassacocchi.
Così, mentre strappa, ritaglia e cuce pezzi di vecchi abiti malmessi cercando di farsi un costume, a Ernesto - dopo tanto tempo - gli viene pure voglia di cantare.
Adesso che è pronto, così intabarrato, Ernesto si sente finalmente un altro.
Ora si tratta di arrivare in cima al tetto senza essere visto: sarebbe imperdonabile farsi scoprire proprio la prima volta.
Poi Ernesto sorride di sé: già da tempo sa di essere invisibile.
Così si inerpica con ostentata tranquillità su per le scale e gli androni di quel palazzone che tra sottoscala e superfetazioni è quasi un mostruoso formicaio, monumento all’abuso edilizio. Nessuno lo vede, tranne Aniello, il bambino del quarto piano che gioca, come sempre, sul pianerottolo dove la madre, che lavora di notte, lo deposita ogni mattina per poter dormire un po’.
Aniello lo guarda con uno strano sorriso, poi torna a giocare.
Ora è sul tetto, può vedere i barbaglii delle onde di quello spicchio di mare che si riesce a sbirciare al di là di tutte quelle case che si mangiano l’orizzonte.
Che giornata splendida!
Per un attimo i rumori si acquietano e si riesce a percepire il suono di una brezza leggera e sentire l’odore lontano di un qualcosa che non c’è più. Una consapevolezza gli trafigge il cervello: la bellezza avrebbe potuto salvarci.
Ma è un attimo.
Adesso è tardi, c’è altro da fare.
Ernesto si calca la maschera sul viso, flette i muscoli, prende un profondo respiro e si lancia nel vuoto.
Libero.
Finalmente libero.