Hopeless dream & trip on the Debaser Island

“Il cielo sopra il porto era del colore di uno schermo televisivo sintonizzato su un canale morto... Il sorriso del barista si allargò ancora di più. La sua bruttezza era leggendaria. In un'epoca in cui la bellezza era alla portata di tutte le tasche, c'era qualcosa di nobiliare nel fatto che a lui mancasse."
(William Gibson, NEUROMANTE 1984)

Non ricordo o non riesco a ricordare come sono finito qui. Sono ancora assonnato dal viaggio. Tutto di giorno, sole filtrato da una cappa @fosca. Entro in ascensori che portano in alto. Con me c'è qualcuno nella cabina, ma non so chi sia.
Non ci parlo, non ci incrocio lo sguardo.
Gli ascensori sono scatole di metallo parallelepipedali che salgono, poi scendono. Sono male illuminati, sporchi e pieni di grasso. Inquieti e scuri. Nel passaggio da un ascensore ad un altro riesco a vedere la struttura immensa in cui si muovono. Una specie di aeroporto africano, sudicio, metallico e non organizzato. Caos primordiale e gente distratta in viaggio. In qualche modo questi ascensori portano su, ma non so dove. Verso il tetto, altissimo.

Prima di scendere, in modalità a me sconosciute, percepisco la voce ed il consiglio di @Flo, l'editor. Mi avverte che c'è stato un guasto precedente all'ascensore, per cui all'arrivo esso non sarà stabile, traballerà e non combacerà col bordo del tetto, dovrò fare attenzione a saltare bene e a non cadere di sotto.

Superato il tetto mi ritrovo tra gente che va e che viene su una piattaforma gigantesca in mezzo ad un mare. Di fianco a me c'è un mio amico melomane, comparso da poco. Come sempre si guarda intorno circospetto. Gli spiego come se sapessi dove mi trovo che una volta questa piattaforma, tanto immensa, ha ospitato sulla sua superficie una nave gigante, intera. Un Fitzcarraldo o una Costa Concordia differenti.
Siamo in mezzo al mare e tutto intorno vedo solo acqua e mastodontiche navi merce in orizzonti lontanissimi. Sono disperso, ammutinato?
Ad un tratto mi rigiro sulla mia destra. Appare, ora e qui, un paesaggio arido e desertico e nel frattempo mi si affiancano altri conoscenti che prima non so dove fossero. Mi restano dietro. Mi addentro sulla terra ferma e faccio qualche passo.
Scopro una specie di cratere smisurato, in erba. Sul suo fondo giace, immacolato e perfetto, un campo di calcio vuoto in manto sintetico. Le gradinate, anch'esse di prato, salgono su fino al livello zero del suolo su cui ho i piedi. Rimango sorpreso e meravigliato. Torno indietro e chiamo i miei accompagnatori. Gli dico di venire a vedere questa strana meraviglia. Titubano, ma poi mi seguono. Restano a bocca aperta anche loro. Li invito a scendere giù con me per guardare il campo da vicino. Mi seguono ed ad un certo punto escono dei calciatori dagli spogliatoi. Sono disponibili e gentili. Gli chiedo chi gioca in quello stadio, mi rispondono che anche la squadra della mia città calca quei terreni. Mi volto dall'amico melomane anche pallonaro, gli chiedo se è vero, che lui sappia. Mi dice di non averne avuta mai notizia. Risalgo in superficie.

p>Sono di nuovo solo. Mi rigiro il posto che adesso è fornito di un entroterra che prima non c'era. Entro nei suoi vicoli fumosi, vaporosi e lerci. Ci sono diversi supermercati, sweat shop e bar. Niente musica nell'aria colma di veleno. Solo rumori di fondo sfocati in lontananza che la mia distanza rende ovattati. Scorgo ragazzi stesi in vestaglia che prendono il sole. Mi siedo di fianco a loro per carpire qualche informazione, ma sembrano tutti molto restii a farmi partecipe di certi segreti. L'unico nome che riconosco è @nes, in vestaglia verde, steso sulla sdraio.
Taglio anni 90 castano chiaro, occhialini tondi, barba rasa. Non parla, qualcuno mi sussura che è lui. Si alza senza guardare nessuno e si dirige verso il supermarket. Riesco ad intravedere un grosso tatuaggio sulla sua schiena. Nes è indubbiamente bello e penso che da poco ha compiuto gli anni, come me, sullo stesso asse. Qui, in questo luogo e in questo tempo sembra molto più bello di me.

Gli astanti rimasti con me sul Solarium mi chiedono chi sia io. Diffidente gli do un altro nick e cominciano a guardarmi con sospetto, gli confesso allora di essere @HOPELESS, ma non hanno intenzione di credermi o fidarsi. Allora gli mostro i miei dati di accesso sul sito dal telefono cellulare e loro con sorrisi enigmatici mi fanno segno di aver accertato. Facce che mi sembra di riconoscere, gente con capelli rasati in camicie hawaiane e occhiali da sole coi lacci che li assicurano ai loro colli. Gli chiedo dove siamo e come si fa a raggiungere quel luogo... Sono vaghi ma mi dicono che da Caserta si può prendere un traghetto che giunge a Roma e da lì entro sei ore potrei essere sul posto. Riprendo il cammino.

Passando tra i vicoli stretti della città espansa concentrata ad un certo punto mi arrampico su una rampa di scale di una palazzina in degrado e mi trovo in uno stanzone adibito, mi sembra, a museo, non so di cosa. Oggetti sparsi su un unico bancone, il resto è uno spazio vuoto malmesso e malodoroso. Una specie di teatrino bombardato come quello della prigione di Manhattan di Snake Plissken.
Gli oggetti non so cosa siano. Adagiati su piccole basi di legno improvvisate munite di calamite che li trattengono in maniera incerta a sé. Senza forme precise, sembrano più schegge frammentate di vecchia robaglia che cose finite. Guardo queste reliquie e cerco di scegliere per tinta e forma quale dovrò prelevare, forse rubandola, per portarla con me come testimonianza di questo passaggio nel mondo reale, perchè questo inusuale è così surreale. Ma sarà questo poi uno dei possibili mondi? Il mondo reale?
Ad un certo punto sull'estremità destra del bancone vedo un cellulare, uno di quei vecchi modelli che servivano solo a telefonare e mai e poi mai per farsi barba o caffè. Lo impugno e lo scruto un po', ma ci passerò dopo, adesso ritorno sulla scelta del testimone che vorrò portare con me. Ma appena mi giro un cigolio di una porta mi fredda il sangue. La porta è sulla stessa estremità del bancone di cui parlavo, non l'avevo notata. Una luce rotta si accende ad intermittenza, avvisto una scimmia grigia che preleva il cellulare, lo custodisce e se ne va lasciando che quella porta si richiuda in se stessa. Tutto molto rapido, ma tempo sufficiente per ricordarsi bene. Adesso sono spaventato e guadagno più velocemente che posso l'uscita, la testimonianza del passaggio la lascio li dov'è senza scegliere.

Sono di nuovo in strada, tra i vicoli color pastello-catrame-sbiadito che batte su gialli sgranati e rossi usurati dal tempo e strade quasi sterrate con rimasugli di asfalto. Ho la sensazione di stare percorrendo la Tangeri del "Pasto Nudo", affascinante, esotica, stonata, malata, sensuale e decadente.
"Cucina Trascendentale, Città di Interzona: Sulla città aleggiano odori di cucina di tutti i paesi, Yage, odore di giungla e d'acque salmastre, di fiumi putrescenti, di escrementi secchi, di sudore e genitali". (W.S. Burroughs, PASTO NUDO 1959).
Ma la paura dell'episodio di poco prima ce l'ho ancora addosso e sottopelle. Qualcuno in lontananza, da un portoncino, sembra aizzare due scimmie adolescenti grigie e malefiche anch'esse contro di me. Queste cominciano a correre in mia direzione ed io, sorpreso da un qualche orrore, mi sollecito a fuggire intimorito. Alla svolta del vicolo mi raggiungono, sono più veloci. Mi affiancano. Terrorizzato.. Mi superano. Vanno per la loro strada non curandosi minimamente di me. Provo sollievo e rallento.

Ora risalgo a piedi sul tetto della piattaforma. Guadagno un interno giorno.
Dentro, bar per niente sporchi, ma anzi moderni e ben sistemati ed arredati. Un po' kitsch. Scopro un mio amico che mangia tranquillo in un locale. Lo avvicino e per un momento i nervi mi si acquietano. Mangia sereno, evidentemente alterato dolcemente dall'area. Pacifico come un Oceano in certi giorni dell'anno, nel frattempo segue qualche evento sulla tv a muro del locale. Lo lascio lì, continuo il movimento e passo avanti. Adesso sono fuori sul piano più alto della piattaforma. Vedo una specie di bacheca improvvisata su un muro imbastito male. Il muro è bianco. Tutti leggono ma non c'è nulla da leggere. Il muro è bianco e cemento.
Mi avvicino e sento qualcuno bisbigliare che quello è il modo di @G per tenere tutto sotto controllo. Erro e stamattina era il 1894. Io non capisco e cerco di proseguire, ma una ragazza mi ferma e si presenta. Ha un berretto estivo, bikini, jeans tagliati a gamba, infradito, Ray Ban Aviator a specchio.
Mi sorride, ha poco seno e sembra felice, mi dice di essere @Pin Pin (deadlink_neverborn) ed ha le sembianze di @LauraCamp (con la quale non ho scambiato la minima parola sul sito). Le dico che non sapevo che Pin Pin fosse una ragazza. Lei mi pare infastidita e se ne va.

Allora io noto una specie di banco centrale con sopra un sacco di opuscoli, buste, riviste e cose varie. Mi avvicino. Quello che c'è sul piano stracolmo è materiale informativo del sito, adesivi promozionali e gadget vari. I ragazzi che gironzolano mi porgono diverse riviste da sfogliare e mi spiegano come vanno le cose da quelle parti, come debbo utilizzare tale materiale informativo. Tra le varie cose sul piano noto confezioni rettangolari di plastica trasparente con fondo nero, divise in due sezioni. All'interno grossi chicchi gialli all'esterno e bianchi all'interno. Non so cosa siano.
Una ragazza mi spiega che è zenzero (zero:zen) e che va usato con cautela, soprattutto quando ci si fa il bagno in vasca, perchè le bolle che rilasciano sono miliardi e spumeggianti. Accetto il consiglio e vedo i ragazzi intorno a me cordiali e amichevoli, adesso. Riappare un amico melomane circospetto al mio fianco, gli dico che è un bel posto e che ci dobbiamo ritornare, ma come si fa a ritornarci? Mi riprometto di farlo... Ma ritornare dove? Mi allontano. Adesso inspiegabilmente sono sulla riva ingiallita e verdognola di una spiaggia visibilmente deturpata e probabilmente radioattiva. Le onde che arrivano a riva sono basse pochi centimetri, meno di otto-dieci. Il terreno che sottostà mi ricorda quello desertico che mi si era parato davanti prima all'improvviso. Sono scalzo. Comincio a rendermi conto che dev'essere un sogno lucido bianco, ma non cerco di guidarlo, cerco soltanto di restarci dentro. Voglio restare ma non ci riesco.

Ore 00:15 di un Martedì, 31 Maggio 2016. Mi risveglio dal sonno e mi ridesto dal sogno.
Nel dormiveglia cerco di ritornare su quella specie d'isola, ma evidentemente adesso l'ingresso mi è interdetto. Svanisce e sfuma chiudendosi in una nuvola che si risacca inversa contro l'interno delle palpebre. Di fianco a me dorme la mia ragazza e quasi provo alleggerimento e felicità per essere tornato nel mondo reale. Ma quale realtà? Ma quale reale?
Chissà se quella città proibita, micromondo potenzialmente ciclopico e mostruoso, spiegherà mai più le sue porte. Chissà se potrò mai ritornarci e ritradurmici.
Onironautica. Argonauti del Pacifico Occidentale. Le sequenze e le frequenze. La lingua Quechua. Ghost Writers e il romanticismo disperato e neuromantico di Blade Runner. A Scanner Darkly è un oscuro scrutare. Zoroastro e zero astri. Nessuna umana pietà. Bronislaw. Sud-Ovest. Arizona. Circumnavigazione.
Temo che non avrò mai più i permessi e la possibilità di accesso. Ho visto questo. Poi non ho visto più niente. Sveglio adesso. Transumanza. Penso ad una Hollywood in Memoriam.



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