Il Cerchio di Magnus

Quando inizia l’autunno divento più solitario e di conseguenza passo meno tempo in giro e torno più presto a casa, a meno che la serata non sia davvero formidabile. Il rapporto amoroso con l’alcol è sempre il medesimo ma più concentrato e di conseguenza più nefasto e così quando sono solo è peggio che d’estate.
L’altro giorno mi sono messo a fare un po’ d’ordine tra le mie cose e non ero nel migliore dei mood. Riguardo certi volumi di Magnus e penso a quanto sia stato importante per me.
Penso al suo “Cerchio”. Io lo chiamo così. Se avete letto qualche volume avete presente di sicuro quella specie di riflettore che rivela i suoi personaggi e li illumina nelle loro azioni. Più che i protagonisti delle vignette, il Cerchio mette in rilievo il nero circostante. Il buio è la vera componente essenziale delle sue tavole ed è questo che fin da ragazzo mi ha sempre fatto preferire i suoi lavori rispetto ad altri lavori “neri”, come Diabolik, ben più noto oggi al grande pubblico di Kriminal o Satanik.
Credo ancora che sia il segno più rappresentativo ed emblematico degli anni ’60-’70 nostrani (tolto Pazienza per il ’77). Del resto non si parla certo di anni luminosi. In mezzo a povertà, oscurantismo (ma pure liberazione e conquiste non durature) e vicende tra le meno chiare dell’intera storia d’Italia, nessuno se l’è passata davvero bene. Per la gioia di qualcuno perfino i borghesi sono apparsi alquanto…zoppicanti.

Oggi il fumetto, come la società, non è esattamente come in quegli anni. In questi giorni, tolte le sbandate nipponiche di qualcuno (a me sempre sconosciute), credo non possiate trovare nessun personaggio dirompente anche solo la metà di un Zanardi. Il vuoto interiore che sento dentro me stesso e altri non può più (per fortuna?) cadere nella banalità del simbolico e ci si consola con la roba underground, spesso pretenziosa e intellettualistica. In questa desolazione non c’è niente di più rassicurante di quell’incerta, inquietante, vasta stesura di china nera di Magnus, perché nel suo Cerchio, nonostante l’amarcord, non posso più ritornare, come quando, da bimbetto, correvo in edicola ad accaparrarmi Skorpio e Alan Ford. Così mi trovo ancora nella banalità di parteggiare per il Lato Oscuro, come un fanciullesco metallaro con in odio Platone e cristiani, gnostici compresi. Ma qui non c’entra niente il fascino del Male e stronzate del genere. Più semplicemente è che nella Luce c’è quel che c’è e “avrai quello che dai”, come insegnano giudei e Colle Der Fomento. Il Buio invece è tutta un’altra storia.
Forse non c’è niente.
Forse c’è qualcosa.
Non vedo l’ora che torni la nebbia delle mie parti, quella fitta come un muro di cemento, in cui non vedi un cazzo e non sai se avere paura o essere eccitato di non sapere come stai messo sulla strada; di fianco i fossi.


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