IL PATTO

è un raccontino horror, lo scrissi quando avevo 25 anni.

IL VIAGGIO
Marco e Gregorio si misero in viaggio con calma, dopo pranzo, con l’automobile di Marco, una Y10 del ‘92.
Gli altri 4 invece avevano preso il treno alle 6 del mattino così sarebbero arrivati in albergo verso l’ora di pranzo e nel pomeriggio avrebbero potuto già lanciarsi sulle piste innevate.
La settimana bianca.
Marco e Gregorio non erano mai stati in settimana bianca, non sapevano neanche sciare.
Quei 4 invece, non solo erano sciatori provetti, ma erano anche organizzati molto bene con le loro tute da sci fiammanti, sembravano tute spaziali, gli sci, il casco, super accessoriati.
Marco e Gregorio li avevano accompagnati al negozio sportivo giorni addietro e i 4 avevano speso un occhio della testa per acquistare tute, sci e altri accessori.
Fighetti del cazzo, stronzetti radical-chic; questo pensava Marco di loro.
Li aveva conosciuti tramite Gregorio, erano amici di Gregorio dell’università.
Marco invece non studiava, faceva il barista e non sapeva bene cosa volesse dalla vita.
Nonostante avesse quasi 30 anni, viveva alla giornata.
Il viaggio fu molto lungo; Marco si fermava spesso agli autogrill, caffè e sigaretta, la pipì, un panino.
Dopo 11 ore di viaggio, erano quasi arrivati in albergo.
Stavano percorrendo l’ultimo tratto di strada, una strada di montagna, stretta e piena di curve, ancora pochi chilometri e sarebbero giunti a destinazione.
Ad un tratto la macchina iniziò a sobbalzare, ad arrancare sulla strada, perse colpi e si spense.
Il motore borbottò come un vecchio animale ferito, l’eco si propagò nella valle e dopo alcuni secondi, si spense.
La benzina!
Gregorio sbottò: “Te l’avevo detto che era meglio metterne un po’ all’ultima sosta ma tu no no ce la facciamo la conosco la mia macchina, la riserva dura tanto eeee… ma vaffanculo va!”
“Ok ok non ti agitare …adesso li chiamiamo e diciamo loro di portare una tanica di benzina” disse Marco, ma in quel tratto di strada i cellulari non prendevano, non c’era la copertura.
Senza benzina a 10km dall’albergo alle due del mattino, a Febbraio, in Trentino Alto Adige.
La temperatura esterna era -11°, faceva freddo, molto freddo.
“Porca troia!” urlò Marco.
Cosa fare?
Era quasi impensabile tentare di arrivare a piedi, 10km a piedi con quel freddo e con quel tempo da lupi ma lupi non ce n’erano, anzi, sembrava proprio che non ci fosse anima viva intorno.
Uscirono dall’automobile infagottati e infreddoliti per guardarsi intorno ma non scorsero anima viva, non passava nessuno.
La situazione era drammatica: se avessero passato la notte in macchina e si fossero addormentati sarebbero passati dal sonno alla morte per assideramento.

IL VECCHIO
Decisero di provare ad incamminarsi nonostante il freddo e subito dopo la curva, la videro.
Un’area di servizio con la pompa di benzina!
Un colpo di fortuna!
Raggianti, tornarono verso la macchina e la spinsero per un centinaio di metri raggiungendo la piazzola di sosta; sì, era proprio un’area di servizio.
C’era la pompa per la benzina, c’era un piccolo chiosco.
L’area di servizio era illuminata a giorno e pulitissima.
Non una cicca in terra, né una foglia o una cartaccia, niente di niente.
Tutto a norma di legge; illuminata a giorno, l’estintore con l’etichetta, il secchio di sabbia, i segnali di divieto di fumo, il rotolo di carta per pulirsi le mani, il secchio dei rifiuti, c’era tutto.
Le cromature della pompa di benzina brillavano sotto la luce artificiale; tutto era nuovo di zecca, forse l’avevano aperta da poco, forse non c’era nessuno e non era un self-service, forse non erano stati poi così fortunati.
Si guardarono intorno e, nell’oscurità, appena dietro il chiosco, lo videro.
C’era un uomo, un vecchio, e stava pisciando.
Finito che ebbe di pisciare, il vecchio rimise dentro il pisello senza neanche sgrullarlo e senza chiudersi la patta dei pantaloni e con un piglio deciso ed un passo rapido a dispetto della sua età, poteva avere 80 anni, appena li vide si avviò verso di loro entrando nella zona illuminata a giorno dell’area di servizio.
Che tipo!
Indossava una camicia di flanella rossa e blu, la classica camicia del taglialegna canadese, una camicia sporca, macchiata, logora.
Indossava soltanto una camicia nonostante il freddo glaciale!
Pantaloni di velluto marroni, la patta aperta, ancor più sudici della camicia se possibile.
I capelli unti, lunghi fino alle spalle, tirati all’indietro, bianchi - anzi no giallini - sporchi.
La barba di 3 giorni, rughe irregolari e profonde solcavano il suo viso da vecchio, 3 o 4 denti in bocca storti e giallognoli e sorrideva mentre veniva incontro ai due ragazzi.
Due occhietti grigiastri, piccoli, vispi, incassati nelle orbite, grandi orecchie, un grande naso bitorzoluto, una bocca larga e semi-aperta, ma non era il lupo cattivo, forse.
“Ehilà, ragazzi! Finita la benzina?” disse il vecchio.
“Entrate il caffè è sul fuoco” e senza attendere la risposta dei due ragazzi, il vecchio era già dentro e in pochi secondi aveva disposto le tazzine per il caffè su di un piccolo tavolino che si trovava all’interno del chiosco, una sorta di piccolo ufficio, anche questo pulitissimo, tirato a lucido, ordinato.
Marco e Gregorio erano incerti sul da farsi ma sembrava non avessero alternativa, inoltre il profumo del caffè caldo e la prospettiva di scaldarsi un po’ dissiparono in pochi secondi eventuali riserve.
“State andando all’hotel ‘La Baita’ vero? Dovete fare ancora una decina di chilometri”
Il caffè era buonissimo, servito in raffinate tazzine di porcellana col piattino sotto, roba di classe.
“Sì” disse Marco “….stiamo andando all’hotel ‘La Baita’ per la settimana bianca, noi siamo partiti dopo pranzo da Roma, i nostri amici invece son partiti stamattina presto e sono già su, ci aspettano”
“Quei 4 fighetti del cazzo! stronzetti radical-chic!” esclamò il vecchio e nel dire ciò il suo volto da bizzarro ma bonario si trasformò in una maschera ghignante e parossistica; fu un attimo, ma fu terrificante.
Gregorio divenne bianco dalla paura, avrebbe voluto dire qualcosa ma era come paralizzato e, in realtà, aveva avvertito la netta sensazione di un grande disagio non appena il vecchiò sbucò dall’ombra dopo aver pisciato.
L’atteggiamento di Marco invece era del tutto diverso, era come divertito, non si rese neanche conto che il vecchio aveva utilizzato, per i 4 ragazzi, le stesse parole che aveva pensato lui.
“Massì” proseguì il vecchio “sono i classici figli di papà, che vanno all’università, che han quasi 30 anni ma che sono ancora a metà con gli studi, che fanno tanto i sapientoni ma non hanno mai lavorato un giorno in vita loro, meritano di morire …che cazzo campano a fare?”
“Mi scusi, ma cosa sta dicendo? Co-come si permett…” era Gregorio; balbettava, tremava, un filo di voce ma il vecchio lo incalzò come un fiume in piena; Marco sorrideva.
“Perché non li ammazzate? 2 a testa… tu ne fai fuori 2 e tu gli altri due… ammazzateli quei 4 stronzi! …facciamo un patto …se li ammazzate io vi faccio il pieno gratis ok? …qua la mano” e tese la mano verso i due, una mano grande, forte, tesa, immobile.
Il vecchio è completamente pazzo, pensò Gregorio col cuore in tumulto, Marco continuava a ghignare divertito, rilassato.
“Ok, ci sto, qua la mano vecchio mio!” disse Marco.
E fu così che il vecchio e Marco stipularono il patto.
“E ora tu!” disse il vecchio a Gregorio “su dammi la mano che aspetti? Due a testa! Un patto è un patto e va rispettato!”
Il vecchio sembrava eccitato, il tono della sua voce era potente, sembrava davvero convinto di quel che diceva.
Gregorio era paralizzato e fu Marco a rompere gli indugi.
Prese da sotto il tavolo il braccio di Gregorio e lo portò vicino alla mano del vecchio che era di nuovo tesa.
Il vecchio afferrò la mano di Gregorio e gli scosse il braccio in una stretta di mano vigorosa, serrata, implacabile.
Gregorio al contrario era come spossato, senza forze, non riusciva a parlare, voleva solo uscire da quel posto.
“E’ andata! Abbiamo stipulato il patto! 2 a testa 2 a testa!” urlò il vecchio trionfante.
In un attimo si alzò, ripose le tazzine ed uscì fuori iniziando a fischiettare il motivetto del film ‘Il ponte sul fiume Kwai’.
Con gesti rapidi e aggraziati era già fuori, pronto a fare il pieno alla macchina; aveva estratto la pistola e programmato il pieno.
Dopo pochi secondi la lancetta della benzina era già tutta a destra, nel serbatoio, erano stati erogati circa 30lt di benzina.
“Fatto!” esclamò il vecchio.
Gregorio, ancora visibilmente scosso nonostante fosse entrato in macchina, fece per prendere il portafogli ma il vecchio se ne accorse subito e gli disse: “ragazzo? Che fai? Il pieno è gratis, abbiamo stipulato un patto! Un patto è un patto e va rispettato! 2 a testa! 2 a testa! Ammazzateli come cani, quei luridi topi di fogna! Ah ah! … Ah Ah!” …e iniziò a battere le mani ritmicamente Ah Ah! CLAP! Ah Ah! CLAP! producendo un rumore secco, uno schiocco di frusta che squarciò il silenzio della valle circostante.
Marco salutò il vecchio per l’ultima volta e mise in moto, continuava ad avere quel ghigno curioso, come di chi la sa lunga ed iniziò a fischiettare il motivetto del film ‘Il ponte sul fiume Kwai’.

LA TELEFONATA
Raggiunsero l’albergo e si sistemarono nella stanza.
Era una stanza confortevole con due posti letto, il bagno in camera, la tv ed il telefono.
Il cellulare di Marco squillò, Marco rispose.
“Sì… certo, sarà fatto, un patto è un patto…” disse Marco. 2 a testa! 2 a testa! La voce inconfondibile del vecchio, Gregorio la sentiva benissimo nonostante Marco avesse l’apparecchio attaccato all’orecchio, era la sua voce, acuta e potente.
Come aveva fatto ad avere il numero del telefonino di Marco?
Gregorio, seduto sul bordo del letto, non fece in tempo a finire di formulare questo pensiero che squillò il telefono fisso della stanza.
Gregorio come in trance alzò la cornetta.
“ehi! Ragazzo! Dico anche a te sai? Un patto è un patto, ne dovete ammazzare 2 a testa, 2 a testa! …e poi tu non mi piaci per niente, finirai male!”
Il vecchio era contemporaneamente su due linee telefoniche!
Gregorio riagganciò e disse a Marco che era necessario andare subito alla polizia a denunciare l’accaduto.
Marco lo tranquillizzò “Gregorio ma che cazzo stai dicendo? Ma ti rendi conto che il vecchio scherza? È un burlone, ci ha offerto il caffè e ci ha fatto il pieno gratis che vuoi di più?”
Gregorio non si calmò affatto e cercò di fargli notare come fosse possibile che il vecchio avesse il suo numero di telefono che avesse chiamato la stanza d’albergo parlando contemporaneamente con entrambi eee…
Niente da fare, Marco non lo ascoltava proprio… ormai aveva sempre quel sorrisetto beffardo dipinto sul volto e lo sguardo era come assente, forse era stanco per il viaggio, ad ogni modo mentre Gregorio continuava a parlare cercando di far valere le sue ragioni, Marco già si era diretto verso la doccia continuando a fischiettare la canzoncina di quel celeberrimo film di guerra.
Gregorio, in preda al panico, decise allora innanzitutto di raccontare l’accaduto agli altri 4 ma avevano i telefonini spenti.
Chiese di loro alla reception e gli fu riferito che due di loro stavano dormendo da almeno due ore e che gli altri due erano fuori, in giro.
Gregorio, senza avvisare Marco, gli prese le chiavi della macchina ed uscì fuori a cercarli, non potevano essere lontani, probabilmente li avrebbe trovati giù in paese al pub, l’unico posto aperto a quell’ora.


LA MATTANZA
Marco, sotto la doccia, si sentiva bene come non mai, ormai sapeva benissimo cosa doveva fare: doveva rispettare il patto.
Li voglio scannare come maiali quei 4 balordi… anzi no due, ne ammazzerò solo due… 2 a testa 2 a testa!
Questo pensava Marco sotto la doccia in preda ad un’euforia incontrollabile.
Una volta fuori si asciugò alla svelta, scese al primo piano e passando dall’uscita di emergenza si introdusse furtivamente nelle cucine dell’albergo dove trafugò un grosso coltellaccio e due guanti scamosciati, di quelli che si utilizzano per gettare i sacchi dei rifiuti.
Tornò su e telefonò alla stanza 213 dove c’erano 2 dei 4 che stavano dormendo.
“Aprite! Sto venendo da voi… fate presto Gregorio è stato arrestato!” disse Marco.
Non diede loro neanche il tempo di replicare, si precipitò fuori immediatamente impugnando il grosso coltello da cucina.
Il ghigno sul suo volto era ora un sorriso largo, sardonico, gli occhi di fuori, Marco era pronto a portare a termine la sua mattanza.
Il ragazzo aprì la porta che era accanto a quella di Marco e Gregorio e ricevette immediatamente una coltellata in pieno petto.
La lama affondò per almeno 20 cm, tanta era la forza impressa.
Il ragazzo si accasciò al suolo gorgogliando inconsulte cacofonie mentre, blando ed esterrefatto, si dimenava tra la pozza di sangue che immediatamente si era formata ai suoi piedi.
Marco gli aveva spaccato il cuore con un solo colpo, il sangue era ovunque.
Marco estrasse la lama dal cuore e si diresse verso l’altro ragazzo con una furia disumana.
L’altro era riuscito a scendere dal letto, d’istinto rovesciò la lampada e la frappose tra sé e Marco ma Marco la scansò via con rapidità fulminea.
Il ragazzo balzò sul letto dell’altro e cercò di guadagnare la porta del bagno per chiudersi dentro ma non fece in tempo perché Marco entrò nel bagno con lui.
Ci fu una colluttazione ma Marco era come un cane idrofobo, aveva una forza ed una rapidità tale che il povero ragazzo non ebbe scampo.
Venne centrato dal coltellaccio proprio in mezzo alle scapole e Marco si accanì, il ragazzo aveva tentato una reazione.
Si accanì come una bestia e diede tante, ma tante coltellate al ragazzo, lo colpì ripetutamente sulla schiena, sulle braccia, sul volto, sulle gambe, ovunque.
La scena era raccapricciante; il primo ragazzo era rannicchiato in una pozza di sangue in posizione fetale e con le mani sul cuore o meglio, su quel che ne restava.
Il secondo era semi seduto sul bordo della vasca con intorno il telo per coprire gli schizzi d’acqua pieno di tagli e di sangue e di frattaglie sparpagliate sul linoleum.
Sangue ovunque; sulle pareti del bagno, sul soffitto, sulla vasca, sullo specchio, sul pavimento.
Non era più bagno, era una macelleria ma non era mobile e non era mezzanotte, erano le 4 del mattino.
Marco uscì dal bagno si sedette sul letto di uno dei due e si tagliò la gola e morì.
Il coltello cadde per terra.
Marco si accasciò da un lato: il ghigno c’era ancora.

L’INCIDENTE
Gregorio uscì dal parcheggio dell’hotel ed imboccò la stradina che portava giù in paese.
Dopo la curva c’era un rettilineo e Gregorio accostò per provare a richiamare i due sul telefonino, magari erano nel pub e non avevano campo, magari erano usciti e poteva finalmente comunicare con loro.
Non poteva sapere, Gregorio, che i due fossero più vicini di quanto immaginasse.
I due erano ubriachi fradici; provenivano dal pub ed insieme con gli altri turisti e gli abitanti del luogo si erano scolati tanta di quella grappa da non reggersi in piedi.
Erano a piedi e si trovavano appena sopra la strada, avevano imboccato una scorciatoia, un sentiero che passava per il bosco e che era sì meno agevole da percorrere ma molto più breve della strada asfaltata che avevano percorso all’andata.
I due, ancora in preda all’euforia e caracollanti, decisero di fare una gara, una corsa lungo il sentiero.
Il sentiero sbucava sulla strada principale e si trovava ad un metro circa dal livello dell’asfalto.
I due erano appaiati nella corsa e ridevano e si spintonavano e stavano giungendo alla meta praticamente insieme.
Gregorio, in preda allo sconforto e ad una rabbia incontrollabile, innestò la marcia e partì a razzo lungo il rettilineo per scendere in paese.
Stirò la prima marcia, poi la seconda.
I due erano giunti sul traguardo, la fine del sentiero di montagna, la fine delle loro vite, 2 a testa.
I due saltarono insieme; davvero non sarebbe stato facile stabilire chi avesse vinto la gara.
Saltarono sulla strada asfaltata nel preciso istante in cui sopravveniva, a tutta velocità, la Y10 del ’92.
L’impatto fu terrificante.
I loro colpi rimbalzarono sul parabrezza e volarono in alto investiti dalla macchina in velocità.
Sembravano due manichini, due pupazzi di pezza gettati dalla finestra a capodanno.
Morti sul colpo, il cranio sfasciato, la spina dorsale spezzata, due a testa.

EPILOGO
Da un quotidiano locale:
La nostra comunità è stata profondamente turbata dagli abominevoli omicidi della notte scorsa.
Mai, a memoria d’uomo, il nostro paesino era stato teatro di un fatto di sangue così feroce e malsano.
Gregorio Ravelli, 29 anni, di Roma, incensurato, ha barbaramente ucciso i suoi 5 amici coi quali era in vacanza per la settimana bianca.
Tre di loro sono stati trucidati e sgozzati, con un grosso coltello da macellaio, trafugato nella cucina dell’albergo e rinvenuto sul pavimento della stanza 213; gli altri due sono stati investiti dal Ravelli con l’automobile in velocità e senza alcuna traccia di frenata.
Il Ravelli è in stato di choc, rinchiuso in una cella, guardato a vista.
Non ha parlato, non ha spiegato i motivi della carneficina, si è chiuso in un totale mutismo, è praticamente catatonico.
L’unica frase che ripete sporadicamente è: 2 a testa 2 a testa, il patto va rispettato.
Una curiosità: nel serbatoio della Y10 non c’era neanche una goccia di benzina.


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