Il parco è gremito, la luce taglia a metà il palco, da un lato saliranno i danzatori nei loro rigogliosi abiti balcanici, dall’altra, nella penombra, faranno la loro comparsa i musici della Mankovica Orkestar. Hanno scelto di cominciare da qui il loro ricco (ma povero) tour italiano, da Casatenovo, dalle dolci e sinuose colline della verde e frondosa Brianza orientale, nel prestigioso contesto di Villa Facchi; una villa fondiaria splendidamente adagiata tra le morbide forme di un giardino all’inglese, ricco per solito di ombra e rumori lontani, ma trasformato per l’occasione in una arena, in una balera, in una chiassosa osteria sul Kazanlak.

Sembrano un grande motore a scoppio dei primi del ‘900 questi della Mankovica Orkestar, partono col botto, si scaldano lentamente e poi, poi chi li ferma più? E sono così gonne variopinte e spumeggianti, scoppiettanti e raggianti, ballerini ferrei, lignei e prorompenti che innalzano esercizi circensi di tonico vigore su ritmi forsennati, danze lontane di terre perdute. Dietro a quelle barbe rossiccie, dietro a quegli sguardi pieni d’altrove si celano uomini divisi e ubriachi capaci di estrarre da un armonico caos momenti di scenica potenza, dove i timpani violentano la pacatezza anglosassone della facciata e momenti e danze più lente e grevi, cariche di quella melodrammaticità che si può ritrovare solo in certe misere località abbandonate ormai anche dal vecchio comunismo. E’ piacevole assistere, ascoltare e partecipare con grande coinvolgimento e stupore di tutti, un'ora e mezza di grande folklore che ripropone la tradizione balcanica con gusto e innovazione, senza inutili banalizzazioni commerciali e senza cadere in facili stereotipi. Un ora e trenta minuti che potrete ritrovare con la stessa buona qualità anche su un CD che nessuno vi chiederà di acquistare ma che, alla fine dello spettacolo, sarà ad attendervi sotto il palco se lo vorrete.

Pregievoli uditori vi prego quindi di indirizzare la vostra importante attenzione alla Mankovica Orkestar qualora passasse nei vostri luoghi d’origine, nelle vostre terre. Il loro “grand tour” prevede fermate un po’ ovunque, da qui alla fine dell’inverno, quando gli artisti ormai naufraghi di musica, suggestioni e splendore faranno ritorno alle loro fredde terre, alle loro famiglie, come reduci da un’estenuante campagna di note ed emozioni e probabilmente di alcool. Un lungo tour che passerà solo per località minori, evitando le grandi città, per incontrare il territorio, per incontrare la gente di provincia, le nostre osterie ed il folk che anche noi nascondiamo sotto le pieghe del lenzuolo.

 

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