Mutanti del ventunesimo secolo, questo titolo ricorderà a molti di voi la prima traccia del disco dei King Crimson "In the Court of the Crimson King". In realtà i due concept album sono separati da un muro, quello di Berlino, il quale con la sua caduta ha portato con sé non solo la liberazione dalla dittatura sovietica, i terribili anni dello stalinismo, la privazione, la censura... ma anche l'illusione che ha forgiato capolavori musicali, tra cui il disco dei Crimson; se però in "21st" gli orrori del mondo rendevano l'uomo schizoide, ora gli orrori del mondo hanno attecchito nel nostro corpo, il quale vagabonda senza l'illusione-che-fu a scaldare il cuore, il sogno diventa forzato e ad un tratto è una stupida imposizione.
L'uomo è costretto a cambiare, perché le basi a cui si poggia cominciano a mutare sempre più rapidamente e ciò che vi è all' interno di noi viaggia ad un ritmo distante da ciò che vi è fuori.

Perdita d' identità. Fantasmi. Mutanti.

Pensando a questo disco mi viene in mente una sequenza filmica. Questa

I MÃO MORTA sono un gruppo formatosi nel 1988, anno di nascita di grandi stronzi come il sottoscritto, pubblicando un primo LP con il titolo omonimo. Il gruppo aveva 3 fondatori: Adolfo Luxuria Canibal (!), Miguel Pedro e Joaquim Pinto, i primi due sono tuttora componenti del gruppo il terzo se ne andò nel 1990. Questo gruppo è nato a Braga in Portogallo e si può pensare come a un gruppo rock (comunque di difficile catalogazione) dalle influenze variegate: noise , punk, metal... ciò che li contraddistingue però sono degli ottimi testi, come in questo caso, delle tinte fosche molto pesanti e una forma di atavismo, di sincero primitivismo del fare musica, con ciò non intendo dire "antiquata"... per capirci meglio associo a primitivismo musicale le urla di "Gennaio"o di "Something i Learn Today".
Al disco hanno collaborato: Adolfo Luxuria Canibal - autore e cantante, Miguel Pedro- batterista e compositore, Sapo - chitarrista e compositore, Antonio Rafael - tastierista, chitarrista e compositore, Jose Pedro Moura- bassista e compositore, Carlos Fortes- autore, chitarrista e compositore.

Il disco è del 1992 per l'etichetta Fungui. In esso si strutturano 9 tracce che descrivono un viaggio per 9 città, il filo rosso che le collega sono le notti, cupe che portano malessere nell'aria, nei posti più squallidi, del pianeta più squallido che esista sulla faccia dell'universo, come un inferno da percorrere per trovare un fottuto pertugio per arrivare alla trasfigurazione, all'ascesi, al mutare il fantasma in qualcosa di materico, di nuovo e di sconosciuto.

"Fecha os olhos e deixa-te conduzir"... Chiudi gli occhi e lasciati condurre.

Si parte con "Lisboa" (attraverso le ombre e la spazzatura): ossessiva ed introdotta da corde grattate e da un parlato che striscia e sinuosa tra le luci di locali e ratti appostati nell'oscurità, per scoppiare in urla di chi ha perso l'anima e dove l'unica cosa che rimane da fare, dopo una notte passata in qualche angolo di strada, è fuggire, magari con il primo taxi.

"Amsterdam" (Have big fun): dopo una bella apertura di basso la voce si insidia come una malattia e spinge quasi automaticamente a uscire fuori casa spingendo a tavoletta l'auto, fumare una canna, bere un caffè, recarsi in un locale a luci rosse e ritrovarsi di nuovo sull'auto per il ritorno con l'aria gelida che ti piglia a cazzotti in faccia e appare l'unica cosa reale di una notte sul filo della realtà sognata.

"Budapeste" (sempre rock & roll): brano abbastanza tranquillo con il suo riff e i suoi assoli con un prologo ossimorico (che ho trovato solo nei testi del sito - 1991 un anno dalla caduta del comunismo, manifesti indecifrabili e edifici anneriti dall' inquinamento) rispetto alla cavalcata rock marcia d'alcol che porta l'annebbiamento lo sfinimento fisico. Sullo sfondo una città in subbuglio che cerca la propria identità. Le notti di Budapest sono notti rock & roll.

"Barcelona" (incontrato nella Plaza Real): pezzo spinto dove le parole vengono inghiottite tra le urla fino ad assumere un lamento demoniaco (del resto è la linea dell' album), dove sembra di ascoltare per alcuni tratti una macumba misteriosa. Storia di due ladri che scappano dalla guardia civile e corrono come matti divertiti dal pericolo, per arrivare al mattino al porto e guardare il sole che sorge dal mediterraneo, momento estatico!

"Marraquexe" (Terra delle mosche morte): il brano parte con una litania orientaleggiante, imperfetta e sbilanciata ( non so chi l'abbia cantata), alternata da delle percussioni rilassate, se non fosse per la cappa di oppressione che aleggia nell'ascolto. Questa Sutra da minareto descrive una piazza, che si risveglia dal suo torpore e comincia a brulicare di gente tra l'odore di spezie, tra venditori e giocolieri. Il canto viene chiuso di colpo quasi ci trovassimo in un fumetto con il nostro antieroe preferito che nell'ultima vignetta spuntato fuori dall'oscurità dice: "Era giunto il momento di testare la mia abilità delle mani e strappare portafogli!" sfumando così nella notte.

"Berlim" (nove morti): inizia come una ninna nanna "Berlim... Berlim... morreu... a nove", ma di colpo ripiomba di nuovo nell'incubo, la musica incalza sempre di più tanto che sembra di stare nella tana del diavolo. Yorkstr a un tiro di schioppo dal muro, vita di un uomo che capisce di non far parte della storia e si riduce ad essere spettatore di un mondo, in cui lui stesso è un commediante, sentendo attraverso la radio di un bar la caduta del 9 novembre 1989. La musica sembra andare avanti colpi di chitarra trascinandosi, in questo brano i versi sono strepitosi : "Sagome tagliate nel crepuscolo, Si muovono lungo un campo aperto" oppure "Un susseguirsi di viadotti di ferro anneriti dalla ruggine, dove le vecchie linee a est, si sono lasciate alla voracità del tempo, stanno in equilibrio, sovrastando le rotaie che si snodano attraverso l'oscurità". Quasi come se la città in cui si vive fosse una proiezione dei propri umori e del proprio animo, per tornare come un cerchio all'assopimento del carillon/ninna nanna iniziale.

"Paris" (Amore a morte): sostenuto da un andamento "Gotico", altro dolorante e piccolo viaggio in sequenze a Parigi, dove si alternano immagini morbide a cupe visioni, citazioni di poeti, scrittori e registi che si respirano in ogni via, passando su ogni ponte, per arrivare all' amore, quello romantico, maledetto, folle, dei giuramenti eterni che portano allo sgozzamento dell' amata;

"Istambul" (un grido) le corde appena toccate gli effetti sonori e le timide percussioni accompagnano le maledette calde notti che avvolgono una storia poco chiara raccontata in diversi modi. Un grido sentito da una camera da letto, un grido che rompe la descrizione delle cose, un grido, il tuo.

"Shambalah" (il regno della luce): un brano strumentale che fa scorrere le corde regalando una sensazione di inquietudine. Shambalah rispetto alle altre città, non esiste, secondo la religione buddhista sarebbe un luogo situato sotto la catena dell'Himalaya, è un termine sanscrito che indica luogo di pace e tranquillità, un approdo, ma una morte o una rinascita?

Dubbio. Questo è.

Basta Cazzate.

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