"All I need is a glittery courtain to sing a cheap but potent song, on a small wooden stage at the back of a bar, to feel like I belong, to stand in front of a glittery courtain, to sing my sad song, of one thing that I'm certain, that's where I belong".

Si ripresenta così Marc Almond nel suo primo album di inediti dopo quattordici anni, con questo breve jingle da cui parte un lungo ed affascinante viaggio in un mondo legato a doppio filo con la carriera e la vita dell'artista inglese, "Varietè", il mondo dello spettacolo, con i suoi splendori e le sue paranoie, visto dall'interno con uno sguardo disincantato ma evocativo ed immaginifico. Passano gli anni, variano le sonorità sperimentate ma l'approccio dell'ex leader dei Soft Cell è sempre lo stesso, inconfondibile: uno stile poetico e ricercato ma schietto in maniera disarmante e viscerale, perfetto per descrivere un mondo che a coloro ne sono estranei appare quasi come una dimensione parallela, surreale, a volte difficilmente comprensibile. L'entertainment come metafora della vita in un frastagliato gioco di luci e di ombre, l'ebbrezza della performance, la fiamma dell'arte ma anche un dietro le quinte fatto di crisi interiori, vanità e fragilità.

In "Varietè" ritroviamo un Marc Almond in versione raffinato chansonnier, alle prese con un album che ha il difetto di essere forse un po' prolisso e ridondante ma nel complesso ben equilibrato, avvincente e dinamico, nobilitato dalle consuete interpretazioni mozzafiato e da arrangiamenti orchestrali ottimamente innestati in un contesto di sound meno "lussureggiante" rispetto a "The Stars We Are" o "Enchanted", anche se altrettanto scenografico. Con immutato carisma, Marc Almond attinge a piene mani da quelle sonorità della tradizione pop orchestrale e cantautorale anni '60 e '70 che ha omaggiato e ripreso innumerevoli volte nel corso della sua carriera, dando così vita ad una meravigliosa piano-ballad come "The Trails Of Eyeliner", intrisa di una dolcezza, un'eleganza lievemente venata di malinconia ed una ricchezza melodica vecchio stile quasi impossibile da ritrovare in uscite discografiche del terzo millennio e di contro il fascino statuario e noir di "The Exhibitionist", una poesia notturna che celebra aspetti del desiderio che appaiono ai più scabrosi ed inconfessabili. Sono proprio le ballate a reggere la struttura portante dell'album, melodie sinuose e sensuali come "My Madness And I", intrise di trasporto e di sehnsucht come "Swan Song" oppure gli scenari più tormentati e drammatici di "Sandboy" e "Lavender".

Questa predominanza di piano-ballads intense ed affascinanti è ottimamente bilanciata da molti altri esempi di sonorità affini ma eterogenee che scongiurano ogni minimo rischio di eccessiva staticità, rendendo "Varietè" un album completo, capace di regalare sorprese, ad esempio "Bread & Circus", ironica e amara, che con le sue sonorità gitane si riallaccia al precedente e bellissimo esperimento "Orpheus In Exile", fotografando con la giusta dose di cinismo lo spirito di tutti i tempi, "When life betrays our trust bring on the acrobat and throw me a crust". L'organetto di gusto molto 70's e l'atmosfera spagnoleggiante di una passionale "Cabaret Clown" richiamano un altro grande "pallino" di Marc Almond, già emerso più volte nel corso degli anni '80, mentre la t-rexiana "Variety" rappresenta una sorprendente e ben riuscita incursione glam rock, colpisce nel segno anche l'autoironico gospel di "It's All Going On", un momento di grande sincerità in cui l'amosfera sognante contrasta volutamente con un testo carico di mal di vivere, "Alone in my room it's a damp disco gloom where all of my good times have fled, I'd laugh if I could but to cry it feels good". Un momento che viene perfettamente controbilanciato dalla ballad più rock di "Varietè", l'intensa e vibrante "But Not Today", che di contro esprime una incrollabile desiderio di rinascita, "Today my world is lightning up with laughter, today is the day that I forget to cry, today's a kind of happy ever after, today is the day you didn't die".

L'unico difetto che si può imputare a "Varietè" è sicuramente una tracklist leggermente abbondante, quindici canzoni sono un po' troppe, c'è qualche episodio un po' interlocutorio ma a parte questo il lavoro e la classe immensa di Marc Almond rimangono indiscutibili e questo album ne è una palese dimostrazione; un prodotto che segue la stella polare delle varie "Something's Gotten Hold Of My Heart", "Jacky", "The Days Of Pearly Spencer", "I Have Lived" e "Bedsitter Images", vecchie e bellissime canzoni che affiorano a più riprese nella sua produzione artistica, rielaborandone i concetti di spessore e raffinatezza melodica in un contesto affascinante e ben definito, tradotto in musica e parole con la consueta forza emotiva, credibilità, passione ed un carisma inimitabile.

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