La fine del boom, l'approssimarsi degli anni '70, l'alienazione dell'individuo sono i temi portanti di questo capolavoro ferrariano, uno dei titoli piu' alti della sua filmografia.

Seguendo i cazzeggi di questo ingegnere di una fabbrica di maschere antigas. Il regista racconta la disgregazione del maschio, di mezza età, apparentemente inserito nel contesto sociale del periodo della confermata modernizzazione del paese; una disgregazione fatta di desideri repressi e immaginari e una dimenticanza di sè a favore di un sogno a fumetti.

E lo fa con un linguaggio difficile, pericoloso: filmare la vicenda in tempo (quasi) reale. Ed è un successo.

In breve, la trama: ingegnere (Michel Piccoli, immenso)torna a casa dopo una giornata di lavoro. A letto la moglie (Anita Pallenberg, la fidanzata di quasi tutti gli Stones) giace con un forte mal di testa. L'ingegnere cazzeggia per 80 minuti circa, tra fornelli e pentole, il cicaleccio della radiolina, che manda in ascolto Dalla, Patti Pravo, The Four Kents. Trova una pistola abbandonata in un comò, la smonta e comincia a pulirla. Dalla tivu' il bla bla bla di filmati di interviste a studenti e di un documentario sulla mala americana. Vediamo il volto di John Dillinger.

Arriva la donna di servizio (Annie Girardot), di ritorno da una cena. L'ingegnere la raggiunge in camera e se la scopa, davanti al poster dell'amato cantante Dino. Prosegue poi le sue faccende: proietta su un telo dei superotto tra cui uno sulle sue vacanze in Spagna con moglie e una coppia di amici. Gioca con le immagini proiettate, fa gesti osceni alle le donne della pellicola. Poi in silhouette si punta la pistola in bocca; rinuncia a suicidarsi e dipinge l'arma di rosso con pallini bianchi, alla Roy Lichtenstein…

Mi fermo: anche se interrompere la trama significa castrare un bel po' la recensione.

L'ingegnere di "Dillinger" è paradigma dell'uomo alienato dimentico delle sue emozioni e ricco di desideri indotti; aspira ad essere un Dillinger in quanto il bandito incarna la figura del criminale solo contro tutti, padrone della sua vita. cosa che al protagonista non riesce di essere mai, perso tra la dimenticanza di sè e immerso in sogni di avventure da romanzo. Il sentore è quello della repressione sessuale ma vi è una repressione tout court dell'individuo, che deve occupare un posto nella nuova società e adeguarsi agli standard di un paese che crede di aver finalmente trovato benessere e sicurezze. Un folle, un borderline che alla fine compie il salto nela follia e svanisce in un tramonto hollywoodiano, convinto di essere libero.

La follia come ultima chance di fuga da un reale disumanizzante; certo ben poca cosa se paragonata alla vita veramente vissuta, anche se da criminali come il favoloso Dillinger. L'ingegnere si incapriccia davanti ai filmini in superotto, gioca con le ombre deformate dall'assenza della lente anamorfica. Si illude di poter disporre di corpi che sono bidimensionali, fantasmi di un reale già avvenuto e deposto in celluloide. Trasgredire senza rischio. Hitchcock diceva che se appare un'arma nella storia, questa dovrà essere per forza di cose usata. Sembra impossibile nella contemporaneità evitare di fare un danno a terzi per riappropiarsi di sè; i media non ci danno piu' altra chances.

Le interpretazioni degli attori protagonisti sono eccezionali: Piccoli presta il suo volto e la sua mimica per il ritratto di un pazzo tranquillo, che compie le sue azioni come fosse un bambino di sei anni. Annie Girardot è una non-bellezza conturbante e capace di recitare su mezzi toni, sfumature, routine quotidiana. La Pallenberg è solo una presenza ma necessaria. Questa bellissima moglie abbandonata su un letto è un oggetto ormai inappetibile per l'ingegnere.

Ferreri è stato uno dei migliori registi italiani del suo tempo, capace nelle occasioni migliori, di raccontare l'Italia nei suoi micromutamenti, spie delle macromutazioni e del prezzo che viene pagato in termini di umanità e verità.

Anche oggi i tempi sono difficili: ma i registi dove sono?

vostro Giovanni Natoli, happy e pippo

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Di  Caspasian

 Marco lascia "le luci accese in tutte le stanze" e filma la nostra noia, le nostre miserie, filma l'inaccettabile.

 Se si piegano i binari fino ad unirli, succede il deragliamento psichico del rifiuto.