“Pulse” è l’opera prima di Marco Galardi, un musicista fiorentino che ho scoperto per puro caso in un Live set di presentazione del disco pochi giorni fa, in locale fiorentino (l’Ambasciata di Marte). La sua musica mi ha affascinato non poco in quell’occasione, e la piacevole sorpresa mi ha fatto venire voglia di acquistare il disco; La conferma delle aspettative, poi, mi ha fatto venire voglia di condividere questa mia scoperta con voi… Ma verrò subito alla sostanza.

Ci troviamo di fronte ad un lavoro di sperimentazione genuina. L’unione fra le moderne tecniche di manipolazione sonora - Loops, samples e ritmi sintetici – e le più varie contaminazioni, dal funk al Bristol-sound, dalla psichedelia alle esplosioni hendrixiane, fino a Miles Davis e la world music - il tutto magistralmente sostenuto dall’asse portante di un drumming sempre incalzante, rendono questi nove brani strumentali qualcosa di molto interessante, che meritano sicuramente attenzione in un panorama italiano che ancora oggi sa offrire ben poche novità dal punto di vista della ricerca sonora e della sperimentazione. Prima di cominciare con l’analisi dei pezzi vorrei aggiungere una nota importante: il mixaggio definitivo è stato eseguito da Paolo Favati, ex-Pankow (band chiave dell’industrial-EBM a cavallo fra gli ottanta e primi novanta), produttore di calibro internazionale che può vantare tra l’altro collaborazioni con Trobbling Ghristle, Killing Joke, Gareth Jones e Adrian Sherwood (produttori di Depeche Mode, Nine inch nails, Skinny Puppy).

Il disco si apre con “Kind of Man”, una piccola intro che lascia intravedere i toni di ciò che seguirà, dettate soprattutto dall’uso di tappeti di synth che immergono il tutto in un'atmosfera spaziale ed eterea. Questa non rinuncia mai ad integrarsi col sound analogico e anzi, proprio in questo mix ben riuscito sta uno dei maggiori punti di forza di questo disco. Sotto il tessuto “synthetico” irrompe una batteria degna di un Bonham in stato di grazia nella seconda traccia, “The Uncles”, una suite che nella seconda parte vede l’esplosione sonora di uno strumento dal suono incredibile, il cello elettrico, che nel finale sfuma in un groove di batteria rock che spiazza e piace assai. Il terzo episodio, “Dangeridoo”, è il brano senza dubbio più sperimentale, che su un campionamento di un motore di un Chopper (by Favati) costruisce sonorità cupe e industriali, fra rumori lancinanti sullo sfondo e percussioni impazzite in primo piano. “K” è il brano più melodico, che si apre con l’ormai consueto tappeto di synth su cui si installa una ritmica potente, inframezzata da campionamenti di drum machine e conclusa da un assolo di cello in stile hendrix da lasciar veramente di stucco. Il quinto pezzo, “Sal’AAM Aleicum”, è un'altra sorpresa: un’incursione in ambienti jazz dal fascino misterioso, che strizza l’occhio al grande Angelo Badalamenti, compositore di fiducia di David Lynch. Batteria terzinata accarezzata da synth e un sax celestiale (Carlo Gatteschi) in un pezzo che avrebbe fatto la sua figura nella colonna sonora di “Lost Highways” (caldamente consigliata a chi non l’avesse) o “Fire Walks With Me” (idem come prima), due dei capolavori del geniaccio americano. Sfumata questa piccola perla, c’è “Aracnos”, che contiene in sé le caratteristiche peculiari del disco, fra campionamenti elettronici, il cuore ritmico di Galardi, tappeti sonori e un assolo di chitarra con delay impeccabile, che termina in una distorsione digitale che decompone tutto. Sul silenzio che ne deriva, l’intro di “Light”, un electro-funk dal ritmo coinvolgente, fra samples e programming, in cui si vede non poco un lavoro certosino di manipolazione sonora. Dopo l'ennesima sorpresa, “Chafanga’s Time”, una session jazz-funky tradizionale priva di elettronica dagli influssi psichedelici, l’ultimo episodio, “Il genio della lampada”, che chiude decisamente in bellezza: l’ospite d’onore è il sarangi indiano, altro strumento dal suono meraviglioso, che ci fa assaporare la magia d’oriente in un insolito mix fra ritmiche percussive e sintetiche; il risultato è un atmosfera post-industriale intrisa di melodie provenienti dal passato, che raggiungono l’anima come poche sanno fare.

Insomma, che dire: una bella scoperta, avvenuta si può dire per caso, di un musicista versatile e ispirato, la cui principale abilità sta proprio nel coniugare in un opera coesa e personale le più varie influenze, integrando l’elettronica e sound moderni con l’analogico e mettendo capacità tecniche notevoli al servizio della creatività, mai fine a se stessi. Nell’attesa del prossimo capitolo di questo progetto nostrano, cari Debaseriani, ve lo consiglio caldamente. Etichetta: Pippola Music (Paolo Favati), Distribuzione Goodfellas.

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