Direttamente dallo splendido mondo di musicisti eccezionali e grandi talenti, destinati a diventare personalità illustre di quella bellissima e colorata tavola cromatica conosciuta con il nome di "fusion"-"jazz-rock", e che negli anni ottanta collaborarono con il precursore del jazz elettrico Miles Davis, perno centrale di un movimento musicale, che con il passare degli anni entrò nella storia in maniera indelebile, il bassista e pluristrumentista Marcus Miller fa anch'egli la sua apparizione nel lontano 1981 al fianco di Mike Stern (chitarra), Bill Evans (sax) e Al Foster (batteria), guidati dal maestro e con l'appoggio di altri ottimi strumentisti danno vita a "The Man With The Horn", una delle sessioni più belle ed importanti di quel periodo.

Nonostante il lavoro di Miller al fianco del jazzista fu così apprezzato anche nelle sessioni a seguire, tanto da affidargli la quasi totale realizzazione delle sue due ultime pubblicazioni "Tutu" (1986) e "Amandla" (1989), lavori sicuramente più "freddi" e "artificiosi" delle opere precedenti ma comunque veramente godibili, dai quali nacquero alcune composizioni annoverate tra i classici dell'ultimo Davis come la stessa "Tutu" o "Mr Pastorius", la sua completa maturazione come artista e musicista deve ancora giungere ed è riscontrabile nella prima metà degli anni 90, periodo immediatamente successivo alla collaborazione con Davis, in cui il bassista pubblica alcuni album di ottima fattura dove mette definitivamente in luce le sue doti di artista sensibile e profondo, musicista dalle elevate doti tecniche e dalla solidissima preparazione fortemente radicata nel jazz.

M2, album pubblicato nel 2001, vincitore di un Grammy awards, rappresenta il culmine della fase più matura e prolifica di Miller; in questo album splendidamente suonato il bassista rivomita in faccia ai sui ascoltatori il frutto di anni di esperienza al fianco di grandi musicisti, rivomita il suo amore per il jazz, il funk e il blues con un gusto ed una sensibilità unici, rivomita l'amore per le sue origini di afro americano e per la sua gente strizzando l'occhio alle tendenze e alle mode musicali più vicine a questa generazione. Dimenticate i virtuosismi e gli iper-tecnicismi presenti in tanta musica fusion, Milller non è un semplice esecutore, tutto ciò che troverete in questo disco, in primis il suono caldo del suo fender-jazz, gli accompagnamenti funk invigoriti spesso da campionamenti ed una discreta dose di elettronica, l'uso degli archi e di strumenti a fiato negli arrangiamenti per impreziosire le composizioni, la presenza di ottimi musicisti  presenti nelle sessioni sono mezzi che gli servono a toccare l'animo e la sensibilità umana.

Basti questo per farci rendere conto come il bassista ci tenga a non strafare, lascia spazio al buon gusto consapevole che il suo strumento è un mezzo per esprimersi e solo questo deve essere. "Power", la traccia che partirà non appena inserirete il cd nel lettore ci farà subito rendere conto delle scelte stilistiche di questo musicista: il giro slappato di basso, caldo e vigoroso farà la sua comparsa sostenuto da batteria, tastiere e dal "water" effetto, ben presto il giro di basso si trasformerà nel malinconico tema principale impreziosito in maniera sublime oltre che dalle tastiere anche dalla  comparsa degli archi usati in maniera più che azzeccata; il bellissimo solo è composto da poche note a voler essere "essenziale" ma assolutamente non banale. Da citare anche la bellissima "Cousin John" sulla falsa riga di "Power" è una "finta" ballad in chiave funk sostenuta splendidamente da un Wayne Shorte al sax Soprano in stato di grazia, da i già citati archi, da flauto ed oboe. Non mancano le rivisitazioni di alcuni standard jazz, "Lonnie's lament" di John Coltrane e "Goodbye Pork Pye Hat" di Charles Mingus per l'esattezza, rivisitate dal bassista in maniera godibile e personale.
Per finire voglio citare "Your Amazing Grace" dove Miller abbandona momentaneamente il basso elettrico quale strumento solista ed imbraccia il clarinetto basso suonato in questo pezzo in maniera egregia, appoggiato da Chaka Khan nell'interpretazione cantata del tema principale e da un eccellente Kenny Garrett nello scambio di fraseggi tra clarinetto e sax soprano sostenuti dai vocalizzi della calda voce di Chaka.

Cosa altro posso aggiungere se non che se già conoscete Marcus Miller questo è un disco da avere assolutamente, se non l'ho conoscete potreste iniziare proprio da questo splendido disco.

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