"The Mighy Mistress of the Old School of Noise": in questi termini è lecito parlare di Christine Weyrether (direttamente da Dusseldorf), figura leggendaria della scena industriale tedesca degli anni ottanta.

Nel 1982 la Weyrether artista vede i propri natali nella punk band Zerfall, ma è nell'anno successivo che deciderà di proseguire da solista dando il via al progetto Maria Zerfall.

Da sempre poco o niente interessata alla produzione discografica, Christine Weyrether fa musica per il solo gusto di fare musica. E meno male che esiste un'etichetta come la Membrum Debile Propaganda che avrà il buon cuore di riesumare anni ed anni di registrazioni casalinghe, passate attraverso le famigerate quattro piste bastarde, distribuite (se distribuite) in tirature stra-limitate: nastri marciti e putrescenti destinati altrimenti a perire nel disfacimento cosmico delle cose o nella mente debilitata di qualche fattone dell'epoca.

E proprio grazie alla Membrum Debile Propaganda possiamo "gustare", per l'agonia dei nostri timpani, queste 31 scorie soniche, che la label stessa ama definire urban-raw-electro-industrial.

Il termine Maria è lì ad evocare un senso d'innocenza, mentre Zerfall è il decadimento di tutte le cose fisiche e materiali: in questo ossimoro sta l'arte istintiva e selvaggia della Weyrether, un'arte forgiata in piena era post-punk, all'ombra annichilente di Throbbing Gristle, Einsturzende Neubauten, Swans, Foetus, SPK, Laibach.

Un'arte in cui non confluiscono solamente la violenza e la morbosità delle macchine, ma anche la violenza ed il nichilismo del punk più deragliante: davvero impressionante pensare che dietro a questo delirio di suoni si celi una rappresentante del (cosiddetto) gentil sesso!

Suoni spartani, percussioni martellanti, droni, echi, fruscii, ferraglie arrugginite e catrame a tonnellate: tutte le tracce si muovono più o meno sulle stesse coordinate, nella forma di bozzetti di 3-4-5 minuti che incespicano nelle ombre di un capannone in disuso, dove spesse vetrate si schiantano con fragore; dove casse piene di bulloni franano rovinosamente al suolo; dove vagano ancora gli spettri di coloro che furono schiacciati dalle macchine, prostrati dalla reiterazione, annientati dall'alienazione e dall'imperativo della produttività coatta.

Quadri desolanti dipinti nelle fosche tinte di carbone e petrolio, sangue e silicone; fraseggi di rumorismo straniante dilaniati da un basso vivo e pulsante, a tratti così brutale da non trovare eguali nella storia (il basso di "Das Geschenk" è un baratro: mai sentito qualcosa di così devastante!), a tratti più ragionato da rivelarsi l'unica anima "melodica" delle composizioni (si pensi alla nenia manciniana di "Der Mond", che potrebbe fungere da perfetta colonna sonora per una Pantera Rosa impersonata, non tanto da Peter Sellers, quanto da Bela Lugosi!).

Piccoli requiem di acciaio fumante, sinfonie di ruggine e gas nocivi, fumosi jazz industriali ammorbati dal sussurro infettato di Christine Weirether.

Già, la voce di Christine Weirether: sulle prime, minacciati dal tamburellare voodoo di "Totenstille", avremo l'impressione di trovarci aggrediti da una Diamanda Galas afflosciata da 17 ore filate di catena di montaggio. In verità la Weirether, per le quasi due ore di durata della raccolta (si parla di un doppio album), rimarrà aderente alla sua dimensione di non-cantante, corredando i pezzi di oscure narrazioni, fraseggi freddi e meccanici, strofe e frasi ripetute con morbosa lucidità, sospiri asmatici che affogano nel caos e nel frastuono da ferramenta infernale che è la musica di Maria Zerfall.

E se comunque la signora non mancherà di terrorizzarci con qualche trovata macabra (le terribili convulsioni in "Kopfkrieg" o il sibilare spiritato di "Endlose Flucht"), di tanto in tanto deciderà, come accade per esempio nella debordante "Seelenklumpen", di recuperare l'impeto declamatorio ereditato dall'era punk, ma con quel cazzo di tedesco tagliente e biforcuto che ci pare quasi una Patty Smith (no!, ma che dico!) una P.J.Harvey (no!, ma che dico) una Lydia Lunch posseduta da Adolf Hitler stesso!

L'ideologia? "Ogni ideologia", spiega l'artista, "è un male: le mie canzoni non nascono da alcun idea precisa, il mio intento è solo trasmutare certi umori e certe atmosfere in suoni". E direi che l'intento viene coronato nel migliore dei modi, attraverso ambientazioni claustrofobiche, caricature estreme di orribili incubi post-industriali: partendo dalle visioni grottesche del colossale "Metropolis" di Fritz Lang, per giungere alle ossessioni da dopo guerra di un regista come Fassbinder, l'arte di Christine Weirether porta innegabilmente in sé il peso della storia, le lacerazioni e la profondità di una lunga tradizione di angosce generate e maturate in terra tedesca nel secolo scorso (bellissima la copertina che la ritrae, fazzoletto in testa, divisa da operaia e sguardo intenso, in un tragico bianco e nero che trova sfondo nelle lamiere asettiche di un enorme capannone!).

In perfetta coerenza con i pionieri del movimento industriale, la Weyrether non si ferma quindi innanzi a niente, riuscendo ad inglobare ed allineare nella sua musica tutto quanto risponda alla sua visione nichilista del mondo (i bombardamenti campionati di "Strand bei Mondlicht", i mitragliatori che fanno da sterminio ritmico in "So Always Carry your Gasmask", le trombe stonate incalzate dal pulsare frenetico dei bassi in "Beisetzung der Illyrer", i tubi percossi senza pietà in "Der Wind").

Terribile la musica di Christine Weyrether, che, per riprendere le parole della stessa label, costituisce a tutti gli effetti "the ruthless destructive messenger of the sonic Armageddon."

Ripeto, ci troviamo innanzi ad un'artista leggendaria, che purtroppo non gode della notorietà che meriterebbe. Datele una possibilità: i vostri timpani, violentati quotidianamente da Gigi D'Alessio e Laura Pausini, devono essere prima vendicati e poi definitivamente annientati!

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