Giunto alla fine mi sono ripromesso di tornare sui libri di storia per rispolverare ed anche approfondire le mie conoscenze sul Risorgimento italiano.

Eh sì, perché devo dire che il film non mi ha aiutato molto e quindi, se questo dovrebbe essere uno degli scopi di un film storico, "Noi credevamo" non è riuscito in quell'intento.

Certo, non è quello lo scopo principale di questo film dal momento che assistiamo ad una originale rappresentazione del periodo di unificazione dello stato italiano da un punto di vista inusuale. Dalle gesta cioè dei "non protagonisti", di quelli che materialmente hanno contribuito ad unire stati e staterelli in cui era suddivisa la nostra penisola. Non dai pensatori quindi, dai Mazzini, Crispi, Cavour, Garibaldi; non dai leader, dai teorici della rivoluzione, da quelli che conosciamo quanto meno per essere passati lungo strade a loro intitolate.

Bensì da Domenico Angelo e Salvatore, ragazzi del Cilento che si affiliano al movimento rivoluzionario Giovine Italia di Mazzini e da altri come loro che si sacrificano per il nobile scopo, qualcuno anche a prezzo della vita. Gente di cui non conosciamo le operose gesta. Non fino ad oggi, almeno, non fino alla visione di questo film.

Non è sicuramente un caso che sia uscito in tempi di festeggiamenti, le strategie commerciali fanno parte del gioco anche nel cinema naturalmente; centocinquantesimo anniversario, la presa sul pubblico è più forte. Gli si passi questa astuzia, il vantaggio non è solo per i produttori ma per tutti quegli italiani che invogliati e spronati dalla ricorrenza si sono almeno fatti un'idea di avvenimenti riguardanti la loro Patria, che forse prima non conoscevano.

L'unità sta anche nella conoscenza.

Il film si divide in quattro parti, le cui storie però si accavallano pur nella loro rigida sequenza, che hanno in parte gli stessi protagonisti ma che esaminano diverse linee del fronte di questa complessa vicenda che ha portato all'unità d'Italia.

La scelta di far pronunciare un dialetto che molto spesso risulta troppo stretto, che molti spettatori faticano a tradurre e che non sempre permette di capire il senso dei dialoghi, si rivela un handicap. Se la scelta, doverosa, era di rispettare la realtà di una Italia frammentata, con tante lingue simili ma diverse, la regia doveva comprendere che molti non riescono a capire dialetti meridionali se parlati senza addomesticazione. Inoltre dialoghi a volte troppo complessi non favoriscono la comprensione e snaturano la recitazione, la rendono artificiosa.

La fotografia è la colonna portante del film, coadiuvata dai bei costumi e da movimenti macchina all'altezza della situazione. E impreziosita dalla colonna sonora tratta da opere di Rossini, belle e appropriate. Colori caldi, esterni azzeccati, inquadrature bilanciate.

La recitazione in generale lascia un po' a desiderare, ma questo è un problema generale degli attori italiani. Pochi si salvano nel panorama nazionale come pochi si salvano dentro questo film, attori primari e non. Viene da dire che quasi tutti se la caverebbero bene in teatro, ma non qui al cinema, perché è una recitazione da teatro quella che si sente. Si salvano, anzi spiccano per vera bravura, Francesca Inaudi e Luigi Lo Cascio.

Alcuni errori potevano starci e ci sono stati, ma sarebbero anche passati inosservati se non ci fosse stato un vero e proprio sfondone: una inquadratura indugia a lungo su una costruzione in cemento armato, con colonne e ferri scoperti caratteristici soprattutto del sud italia per "alzare di un piano quando ci sono i soldi", senza tener conto che l'uso del cemento armato in edilizia appare in Italia nei primi decenni del 900, cioè almeno 50 anni dopo. Simili fattezze di colonne, poi, sanno proprio di anni 70-80 (del 900!). A meno che non sia una scena con un significato simbolico, ma allora qualcuno me la spieghi!

Insomma, nel complesso, si avverte la zoppa realizzazione di un progetto ambizioso, racconto troppo particolareggiato della Storia, racconto che risulta alla fine un po' sfilacciato o, detto in altre parole, che lascia lo spettatore con l'idea di un puzzle non completato. D'accordo, non è facile sintetizzare gli accadimenti di una storia così complessa, ma allora è la bravura dello sceneggiatore e del regista che deve imporre tagli, il sacrificio di qualche dettaglio a favore della comprensione generale.

Concludendo consiglio anzi invito tutti a vederlo trattandosi della Nostra Evoluzione, ma consiglio anche di ripassarsi il giorno prima un po' di storia per avere presente lo svolgersi a grandi linee degli avvenimenti. Perché "Noi Credevamo" non è certo un film come "Troy", dove alla fine si esce dalla sala sapendo perfettamente cosa hanno fatto Achille ed Ettore e soprattutto chi era 'sta benedetta Elena di Troia.

Italia, 2010

regia di Mario Martone

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