Negli anni '80 Schifano sviluppa enormità di cicli pittorici e tematici che passeranno alla storia: da ricordare la serie degli "Acerbo", quella dei "Campi di Pane", quella dei "Paesaggi Anemici", nonché gli "Alberi della vita". Sono solo alcune delle serie, che si aggiungono a quelle sull'infanzia, dove l'artista usava incollare animaletti di plastica sulla tela. Da non dimenticare i cicli delle "Palme" e dell' "Onda anomala". Tutto questo per dire quanto fosse esplosivo questo pazzo, piccolo, grande artista dal nome ridicolo.

Potrei fare uno sconsiderato elenco di cicli ed idee pittoriche che l'artista ha trattato, ma per questa recensione vorrei fermarmi sul ciclo degli "Acerbo".

Sono opere incredibilmente energiche, le famose nature morte di Schifano, personalissime ed eredi dei concetti floreali degli anni precedenti. L'interpretazione cromatica è avvincente: si passa sempre a tonalità pesantissime e profonde, fino a quelle più leggiadre e chiare, in un mescolio deforme fatto di pennellate visibili, dalle quali traspare sempre l'immediatezza e l'energia dell'artista.

Punto di forza assoluto è il senso materico che l'opera ha, data dalla chimica dei colori acrilici, che si seccavano rapidamente creando spessore e goccioloni. Le forme sono da toccare, ed è un piacere poterlo fare, è come riempirsi le narici di un profumo, solo che lo potete fare con le mani.

L'artista usava direttamente il tubetto sulla tela, per costruire le forme con lo spessore necessario.

La cornice non esiste, anzi, esiste ma è prodotta dall'artista in modo immaginifico, distorta, per creare un confine, una precornice, che giocoforza verrà inevitabilmente valicata dalle famose gocciolature emotive. La cornice bianca, effimera, come confine che spezza, ma non confina a sufficienza l'emotività esplosiva dell'artista.

I colori dei frutti, sono sempre densi, surreali, chimici, e vanno a raccontare il nostro tempo, nella loro innocente staticità, per la loro dozzinalità, il loro aspetto insalubre, acido, come una serie di sensazioni di disagio, sintetiche, tanto vere quanto tangibili, in un opera davvero efficace.

E come ogni serie, lo stesso soggetto, con decine e decine di sue mirabili varianti, viene diffuso con insistenza sul mercato, che più commerciale non può essere.

Sapete l'aneddoto? Molto tempo fa un gallerista (perdonatemi se non faccio il nome, ancora devo decidere se parlarne benissimo o malissimo) confezionò un offerta affascinante per Schifano. Tre miliardi di lire per avere in cambio dieci mila opere.

Nel 1998, quando Mario morì, dopo una vita di eccessi di cui parlerò pian piano nelle recensioni a seguire, aveva confezionato più di 24.000 opere.

Schifano è ovunque, lo vedo ancora oggi nei film più moderni... avete presente "Scusa ma ti chiamo amore"? bene, all'ingresso della casa di Raul Bova i trovarobe hanno appeso un "Campo di Pane"... ed in "Manuale d'amore"? Nella cucina di Fabio Volo c'è un "Acerbo". E ancora. Nel film di Sordi "Sono un fenomeno paranormale", la sua camera da letto è piena.... E ancora, la migliore: nel film "Culo e camicia" nell'episodio con Pozzetto e Mastelloni, mentre ballano si scorge una spettacolare "Palma" che mi fece trasalire. Cinecittà strabocca...

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