Il Bambino con il pigiama a righe.
Sono appena uscito dalla sala e con passo deciso prendo l'uscita. Il vento freddo mi attacca il collo scoperto, ma non me ne curo: sono ancora colpito dalla forza della pellicola che, sono certo, mi rimarrà impressa per molto tempo e cammino perso tra i miei pensieri nella fredda notte trentina. Tolgo il timido strato di ghiaccio che si è formato sul parabrezza nell'ora e mezza trascorsa in sala e guido lentamente; in verità sono un automa e ripenso al film. Non è tanto la violenza delle immagini, quasi inesistente, ma il fatto che la trasposizione cinematografica dell'omonimo scritto offre un punto di vista originale ed efficace.
Schindler's List, La Vita è bella e...
Il primo è un ritratto realista, a partire dalla decisione dell'uso del bianco e nero, che ci rende testimoni, dall'interno, dello scempio dei campi di lavoro, con l'uso di immagini forti e pochi dialoghi taglienti. E' un tentativo di disperata fuga verso l'esterno, verso la vita.
Il secondo è un'opera temeraria e geniale perché è riuscita a fare ridere (anche se di risate dal sapore amaro) milioni di persone pur trattando un evento tragico. Pazzo il nostro regista che per due ore corre sul filo del rasoio (immaginatevi un eccesso nella sceneggiatura o nei dialoghi quali reazioni avrebbe potuto provocare) regalandoci un film probabilmente irripetibile; una dolce fiaba paradossalmente ottimista in relazione al suo contesto. Un inno alla vita anche durante una delle testimonianze più ime della mostruosità umana.
...Il Bambino con il pigiama a righe.
Quando sono entrato nel cinema ieri, non avendo letto recensioni di sorta, ero convinto che mi sarei imbattuto in una sorta di "Schindler's List" o di "La Vita è Bella". Il film fa invece perno sulla visione di un bambino tedesco, figlio di un graduato nazista, che con un innocente sguardo curioso cerca di capire cosa stia accadendo. Percepisce che qualcosa stia cambiando, ma questo mutamento ha i contorni non ben delineati. E' una visione sfuocata e confusa, come il primo sguardo al mattino prima di stropicciarci gli occhi. Se, come detto in precedenza, nella pellicola di Spielberg il fulcro era l'uscita dal campo verso la salvezza, in "Il Bambino con il pigiama a righe" siamo di fronte ad un apparentemente illogico tentativo di entrare. Bruno infatti, una volta trasferitosi dalla pericolante Berlino nelle vicinanze di un campo di lavoro, fa inaspettatamente conoscenza con "strani contadini che vestono con il pigiama" ed in particolare con un bambino. Non riesce a capire il motivo per cui siano rinchiusi all'interno di reticolato con tanto di filo spinato e le risposte non convincono i suoi vispi occhi azzurri assetati di morbosa curiosità infantile. Le sue innocenti domande, sono in realtà rasoiate pure di dolore per il pubblico. Sebbene non si veda nulla, si intuisce tutto. La famiglia lo trincera in casa, gli chiude le finestre, cerca di indottrinarlo tramite l'uso di istitutori ad hoc, ma l'amicizia che instaura con il bambino con il pigiama è più forte e commovente e quel reticolato diventa una calamita irresistibile. Lui in fondo vuole solo giocare e questo semplice istinto unito ai suoi continui "perché?" ci mettono con le spalle al muro facendoci capire l'assurdità della guerra forse meglio di tante atroci immagini.
Una fiaba cupa molto convincente, perfettamente accompagnata da musiche da oscar ed una fotografia ultra curata. Il cast è scarno e comprende oltre ai due piccoli e talentuosi protagonisti, la vitrea madre (Vera Farmiga) ed il granitico (David Thewlis), che dimostrano il loro valore soprattutto nel finale che gode di un montaggio volutamente confuso ed azzeccato per una scena emozionante che rimarrà impressa a lungo nella mente degli spettatori.
Un film che fa riflettere e che, a mio modesto parere, per tutti gli elementi che ho cercare di porre sotto la vostra attenzione merita di essere visto, possibilmente al cinema.
ilfreddo
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