Marra è cresciuto, pardon, è invecchiato. Ha 45 anni, è un nome illustre, da tempo, del rap italiano ed è il più bravo. O almeno, per me lo è. Il salto di qualità lo fece nel 2019 con l'album "Persona", che in pochi in Italia possono vantare in curriculum (e ha fatto scoprire Bergman a una generazione di pischelli, già solo per questo gli dovrebbe essere consegnato ad honorem un Grammy) e ha continuato con "Noi, loro e gli altri". A me il secondo piace di più, forse perchè lo sento più mio e dentro ci sento cose che mi leggono dentro, o forse, come lo stesso Marra, sto invecchiando anch'io e mi commuovo più facilmente. Che poi il suddetto disco si è decorato persino di un Premio Tenca come miglior disco dell'anno, no dico, il Tenco, quello che una volta vincevano Guccini e De Andrè, oggi lo vince Marra, e, con tutta sincerità, non ci trovo nulla di male, anzi (sicuramente non lo daranno mai, che ne so, a Sfera Ebbasta, o ad Achille Lauro).

"Noi, loro e gli altri" è bellissimo, tranne per un pezzo che proprio non mi va giù. E' il secondo disco della trilogia, diciamo così, "introspettiva" di Marra, e lo spiega lui il senso di questo lavoro.

"racconta il momento: siamo una società frammentata, divisa in squadre e fazioni, ognuna con la sua verità. Si rivendica il diritto all'identità, e nei casi di quella sessuale ad esempio lo trovo giustissimo, e allo stesso tempo si perde la visione d’insieme"

14 brani, ma due sono skit, in cui il nostro racconta e si racconta, in modo onesto, sincero, con un talento innato nel rappare (ha una voce che è nata per fare quello) e delle basi che sono di due spanne (o più) superiori a quelle degli attuali rapper o trapper de noantri. La produzione di Zef (e capirai, avessi detto niente) col fido Marz vale già il prezzo del biglietto, se poi Marra decide che, va bene il rap, epperò bisogna spaziare e shackerare tutto in un mix di pop (molto pop in questo disco), dub e, udite udite, persino dance anni '70, allora il gioco è fatto. Miscelare i generi creandone uno tutto proprio è il marchio di chi sa che cullarsi sugli allori del già sentito è il peggior difetto possibile.

Marra si racconta, in pezzi come "Noi" in cui rivede la propria vita, con gli amici dell'epoca, nelle case popolari e, come sfondo, Italia '90 e le sue notti magiche; in "Pagliaccio" (in cui mixa i "Pagliacci" di Ruggero Leoncavallo al rap) dove sputtana, senza fare nomi ma si capisce benissimo, ogni volta a chi si riferisca, a mezza scena rap italiana che gioca da poser e in realtà non è rap ma cerca solo un po' di notorietà; nell'intro di "Loro", dura, diretta, senza fronzoli.

Alcune rime sono da incorniciare. Marra inventa, vola alto, stupisce, in stato di grazia. Ne cito qualcuna: "Io che non sono più io, io non mi fido di Dio"; Dalla F-word, la N-word; che non cancellano il concetto, le shitstorm, politicamente corretto, sì, però com'è che prima erano tutti Charlie Hebdo?"; "Fa una diretta in centro, prende pure le botte, se ne torna contento che ha portato a casa il content"; "Ti fai ruvida come il paesaggio, lo sai che siamo tutti di passaggio"; "Uh, mi ricordo quando è morta tua madre, l'ultimo legame, hai cominciato a viaggiare, in Bolivia, in India, un po' in Cambogia, siamo sempre stati alla ricerca di qualcosa"; "Forse non c'è fuga che conduca all'evasione, forse stavo bene tra i perdenti e gli idealisti, forse la salute mentale è roba da ricchi".

Si tuffa nella dance nell'irresistibile "Giorni stupidi" e riflette, in "Dubbi", sulla propria condizione di artista che, forse, ha dato tutto in campo professionale ma ha lasciato da parte il Marra uomo. La sottilie linea che separa la voglia di vivere dalle inquietudini che ognuno porta con sè, famoso o meno (Marra è bipolare, per sua stessa ammissione) è il leit-motiv dell'album, diviso tra pezzi più "cazzoni" a brani meno sbarazzini, per un lavoro, direi sicuramente, adatto più ad un pubblico over-30 (che capirà tutte le citazioni da "Se mi lasci ti cancello" a "Snowpiercer", da alcuni termini gergali anni '90 a Walter White) e meno ad una platea di giovani o giovanissimi (che, infatti, ascoltano i trapper più marci in circolazione).

Al solito, molte le collaborazioni. Esplicite quelle di Guè (in "Love", pezzo tutto sommato divertente), Calcutta ("Laurea ad honorem", bellissimo), Blanco ("Nemesi", il pezzo meno riuscito perchè meno interessante a livello di testo e di voce, Blanco non è un granchè, e sapendolo, c'infila, col consenso di Marra purtroppo, pacchi di autotune). Nascoste invece gli interventi di Elodie (che compare però nella copertina, elegantissima, roba chic d'altri tempi), uno skit a firma (e voce) Fabri Fibra, un veloce intervento finale di Mahmood in "Crazy Love", non accreditati Joan Thiele e Salmo nella divertentissima (e ahimè verissima) "Cosplay". Il testo di "Io" vede la partecipazione di Vasco, già, quel Vasco di cui Marra è un grandissimo fan e che cita con la musica de "Gli angeli" in "Love".

Un album ricco, pieno di cose belle e momenti alti, aperture esistenziali e un salto di qualità, un'asticella alzata davvero molto, che forse ha costretto molto rap italiano a confrontarsi con "Noi, loro e gli altri". Va detto che poi mica sono tutti Fabio Rizzo, alias Marracash. Il quale, a volte, filosofeggia un po' troppo (noi siamo loro? o siamo gli altri? e gli altri siamo noi? Ah no, quello era Tozzi, mi sono confuso), ma sa librarsi alto quando vuole, planando su terreni scivolosi tipici di chi non ha paura di esporsi e sporcarsi.

Un gioiellino. Conservatelo Marra, che un altro così in Italia ancora non si vede (p.s.: c'era Salmo che prometteva bene, ma ora fa altro, e neanche male).

Elenco e tracce

01   Loro (03:18)

02   Noi, Loro,Gli Altri Skit (00:55)

03   Gli Altri (Giorni Stupidi) (03:21)

04   Nemesi (02:55)

05   Dumbo Gets Mad Skit (00:27)

06   Cliffhanger (03:25)

07   Pagliaccio (02:57)

08   ∞ Love (03:38)

10   Crazy Love (03:12)

11   Cosplayer (03:41)

12   Dubbi (03:54)

13   Laurea Ad Honorem (03:15)

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Altre recensioni

Di  POLO

 Marracash deve leggere questo tipo di cose da quando un paio di intervistatori milanesi gli hanno suggerito dei parallelismi tra la sua scrittura rap e i grandi maestri postmoderni.

 Marra, ho capito che hai nutrito la tua mente e stai cercando il balance tra 50 Cent e Gadda, ma dai tuoi riferimenti ho anche capito che non hai visto il primo corto di Julia Ducournau.