Per la prima volta, nel 1993, Martin Scorsese, avvalendosi di un budget alquanto cospicuo e prendendo come modello Luchino Visconti, si accinge ad affrontare un dramma in costume, tratto dal romanzo del premio Pulitzer Edith Wharton. Tuttavia, pur discostandosi dall'abituale microcosmo malavitoso e metropolitano, Scorsese non cambia il suo modo di fare cinema, non rinuncia ai temi sociologici a lui cari, ma semplicemente li trasporta in un'altra epoca e contesto. Ambientato nella New York della seconda metà dell'800, rigida e conformista, "L'Età dell'Innocenza" è infatti un sontuoso affresco sulla società aristocratica e opulenta dell'epoca, con le sue contraddizioni, i suoi pregiudizi e il suo perbenismo ipocrita e puritano.

La vicenda ruota attorno all'amore sfortunato e impossibile tra la chiacchierata e anticonformista contessa Ellen Olenska e l'avvocato di buona famiglia Newland Archer, promesso sposo della di lei cugina, May. Reduce da un matrimonio opprimente con un uomo avido e vile e da una vita bohémienne in un Europa in pieno fermento culturale, Ellen torna dalla sua famiglia, i Mingott, che con i Beaufort, sono il clan più nobile e influente di New York. La contessa, illudendosi in un primo tempo di aver riacquistato in qualche modo la sua libertà, mal si adatta all'ipocrisia soffocante e alla mondanità vacua e fine a se stessa della ristretta e selettiva aristocrazia newyorkese, così gretta e meschina e così lontana dalle abitudini europee. Tanto bella e intelligente quanto criticata aspramente per alcuni comportamenti ritenuti sconvenienti, diventa oggetto di odiose insinuazioni e pettegolezzi e, di conseguenza, motivo di imbarazzo, persino per alcuni membri della sua stessa famiglia. Newland è il solo a comprenderla e a difenderla, pur mantenendo in pubblico un certo distacco, perché è un gentiluomo romantico e sensibile e, inconsapevole di essere anche lui aperto a uno stile di vita meno rigoroso e subdolamente fasullo, comincia ad essere attratto fortemente e irrimediabilmente dalla donna, così spontanea, così diversa da tutti, così solare e sincera. La passione tra i due esplode in un contesto fatto di intrighi e di trame ordite da chi li circonda a danno della contessa e il loro amore si evolve in un gioco di sacrifici e rinunce. La sporadicità e l'intensità dei loro pochi momenti passati insieme sottolinea tutta l'amarezza, la struggente consapevolezza di non poter vivere in pieno quell'amore di cui entrambi hanno bisogno per essere finalmente liberi e felici.

Un crudele fatalismo incombe inesorabilmente sulla coppia di amanti e quando Newland sembra deciso ad abbandonare definitivamente un'esistenza basata sulla falsità e una moglie dolce e amabile, ma infondo vacua e meno ingenua di quanto sembri, per poter scappare con Ellen, finisce sempre che qualcuno o qualche spiacevole evento impedisce loro di coronare il sogno d'amore. Una voce femminile fuori campo, austera ed elegante, commenta la vicenda e descrive un mondo fatto solo di apparenza e frivolezze, dove velenosi e ottusi pregiudizi e un moralismo stantìo regnano sovrani e dall' equilibrio "talmente delicato che persino un sussurro ne comprometterebbe l'armonia".

Scorsese e i suoi collaboratori allestiscono un'accuratissima e ricercata messinscena, dalla scenografia (Dante Ferretti) e fotografia di una bellezza e raffinatezza eccelse, sottolineate da esterni invernali poetici e malinconici che si alternano a suggestivi paesaggi e situazioni che rimandano ai quadri impressionisti di Renoir e Sisley. La regia è alquanto minuziosa nei particolari e quasi coreografica, determinata da carrellate panoramiche sugli interni lussuosi e meticolosamente ricostruiti, di primi piani fissi sui volti come se la telecamera volesse immortalarli in un dipinto, di improvvisi flash su opere d'arte dell'epoca e sui particolari degli arredi principeschi. Eccellente e indovinatissimo il cast, di cui fanno parte Michelle Pfeiffer e Daniel Day Lewis, nei ruoli della Olenska e di Archer, Wynona Ryder e Geraldine Chaplin. I costumi magnifici e sfarzosi (Gabriella Pescucci) e la sceneggiatura impeccabile completano il tutto, dando vita a un'opera di rara magnificenza e grazia.

"L'Età dell'Innocenza", benchè molto apprezzato dai cultori di Scorsese e da buona parte della critica che conta, non ebbe molta fortuna quando uscì nelle sale, poiché il pubblico americano si aspettava fiducioso il solito blockbuster costoso e d'impronta tipicamente Hollywoodiana, non certo uno struggente e, se vogliamo, didascalico scorcio storico e socio-culturale di vita d'epoca ottocentesca.

 

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