Deve essere parso molto strano al giovane Jonathan T. Taplin, arricchitosi con la produzione dei concerti di Bob Dylan, quel piccoletto intabarrato in un cappotto di pelle lungo fino ai piedi che si presentò alla sua villa con piscina trattenendo due libroni sotto il braccio. Accomodatosi sulla sdraio, Martin Scorsese incurante del caldo gli illustrò la sceneggiatura scritta assieme all'amico d'origine irachena Mardik Martin. Ogni tanto interrompeva il suo infervorato discorso per inalarsi il medicinale dall'apparecchio per l'asma, peggiorata da quando era stato costretto a spostarsi da New York a Los Angeles per lavorare nel mondo del cinema. Aveva già fatto un paio di film tra cui quello per Roger Corman (Boxcar Bertha) che doveva essere la continuazione di "Il Clan dei Barker" ma che rivelò tutt'altra intenzione. Ora era la volta di un film tutto suo, non un'opera di routine commerciale, ma qualcosa in cui credeva totalmente.

 Era il ritratto di una giovane generazione di italo americani del ghetto di Little Italy incastrati tra le leggi della chiesa da una parte  e una vita basata sul crimine dall'altra. Charlie, il personaggio principale, rispecchiava la figura del regista: un giovane che cerca di liberarsi della sua formazione cattolica ma allo stesso tempo sente il rimorso di questa tentazione, cercando di salvare gli amici in difficoltà e soprattutto lo scapestrato Jimmy Boy, debitore di duemila dollari allo strozzino Michael.

  Lo stesso Scorsese aveva abbandonato i suoi studi in seminario attratto inesorabilmente dal "vizio" della cinefilia tanto da iscriversi al corso di cinema all'Università di New York e ora il contatto con Taplin gli permetteva di vedere realizzato il suo sogno, appena mezzo milione di dollari per mettere sulla pellicola i due grossi libri della sceneggiatura che aveva imparato a memoria.

 Così alla fine del 1972 radunò gli attori che si era potuto permettere con quel budget risicato, per farli lavorare nel più breve tempo possibile a Los Angeles fingendo di stare a New York, tranne pochi giorni passati a Manhattan per le riprese del regolamento dei conti durante la festa di San Gennaro. L'amico Harvey Keitel aveva recitato nel film che era stato la tesi di laurea di Scorsese ,"Chi sta bussando alla mia porta", e gli toccò la parte di Charlie, invece per quella di Johnny Boy fu preso questo ragazzo introverso, Robert De Niro, che aveva già lavorato nei primi film underground di Brian De Palma, e con grande sorpresa accadde che si trasformò in un attore straordinario, diventando "esplosivo" fin dalla sua entrata in scena, quando infila un mortaretto nel cassonetto dell'immondizia facendolo saltare in aria.

 Keitel e De Niro erano entrambi newyorkesi e spesso nei dialoghi improvvisavano spontaneamente farfugliando in uno slang del tutto incomprensibile al terzo protagonista, Richard Romanus (l'usuraio Michael) che era di origine libanese ma veniva dal Vermont e odiava la sceneggiatura troppo ricca di questioni religiose e soprattutto forzata dalle volgarità infiocchettate da De Niro.  Nella scena dove Jimmy Boy non gli restituisce i duemila dollari, i due si attaccano per davvero e dovettero separarli non per finta, con Bobby de Niro che urlava "Sei un fottuto stronzo! E ti dico una cosa Mickey: vieni avanti finocchio che ce l'ho bello grosso... Buco di culo!" ... e tutto questo è andato nel film, incredibile per una pellicola del 1972!

 Il film fa delle ristrettezze economiche una virtù, l'uso della macchina da presa portata a spalla che non si cura dei passanti che incrociano la scena, che fruga nelle risse braccando i protagonisti con vertiginosi cambi dell'angolo di ripresa, era mutuato dall'ammirazione che Martin aveva per John Cassavetes e il ralenti stesso diventerà una prerogativa di Scorsese. Lo splendido connubio con le musiche dimostrava l'esperienza professionale del regista come montatore di film-concerto. Così Johnny Boy scende nel bar di Tony (sempre avvolto in una luce rossa per simboleggiare il luogo del peccato) pavoneggiandosi tra due ragazze in una ripresa al rallentatore sulle note di "Jumping Jack Flash", la frenetica rissa nella sala da biliardo di Joey dura esattamente quanto la canzone "Please mr. Postman" delle Marvelettes, gli incontri al ristorante dello zio-padrino Giovanni sono sempre accompagnati da "Munasterio 'e santa Chiara", "Malafemmena" e altri classici napoletani. Per non parlare degli omaggi fatti al luogo dove Scorsese aveva finora trascorso la maggior parte della sua vita: il cinema. Per divertirsi Charlie, Michael e Tony vanno a vedere il loro idolo John Wayne fare a pugni in "Sentieri selvaggi", ma quando invece Charlie e Johnny Boy devono nascondersi, si rifugiano sempre nel buio del locale a vedere stavolta un film horror di Roger Corman con Vincent Price che sta per essere bruciato nelle fiamme dell'inferno.

 E molteplici sono i rimandi alla passione di Scorsese, le influenze sia europee sia statunitensi tipiche di una generazione di "cineasti cinefili", che assieme alla splendida prestazione del duo Keitel-De Niro, fanno di "Mean Streets" un capolavoro sia sotto l'aspetto formale che quello narrativo.

 E oggi fa sorridere la scelta degli ottusi dirigenti di grandi case cinematografiche come la Universal e la Paramount che nel 1973 rifiutarono la distribuzione del film ritenendolo non adatto per Hollywood. Jonathan T. Taplin salvò il suo investimento grazie alla Warner Bros e credo che abbia sudato più di Scorsese nel suo cappotto di pelle per la paura di non recuperare il mezzo milione di dollari anticipato.

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