‘…io non è che ce l’ho con gli americani; ce l’ho con gli italiani che sono schiavi degli americani. Perché sì che gli americani ci hanno liberato e va bene, grazie America, grazie; ma non li si può leccare il c… per tutta la vita’.

Poco più di 70 ANNI di invadenza americana sul nostro territorio, culturale e non solo, e pochi film a occuparsene, due: il primo, ‘Un americano a Roma’ (1954) diretto da Steno e con Alberto Sordi, una commedia dove un giovane nella Roma del Dopoguerra va spacciandosi per un americano, inebetito dai film che vede al cinema.

L’altro è ‘La mia vita a stelle e strisce’ (2003), diretto e interpretato da Massimo Ceccherini (della generazione dei toscani Leonardo Pieraccioni [i successi ‘I laureati’ e ‘Il ciclone’] e Giorgio Panariello [il film comico ‘Bagnomaria’]), un’altra commedia, sull’imposizione a casa sua del modo di vivere americano da parte di una famiglia di parenti proveniente dall’America.

Ceccherini interpreta la parte di Lando, un contadino che vive in una casa di campagna in Toscana con un padre sulla sedia a rotelle e un tacchino come animale domestico, Glu Glu.

Un giorno la sua vita viene sconvolta dal rincontro dopo 30 anni con una zia, Giuly, che molto tempo prima era scappata con un soldato americano conosciuto in Toscana, Jack, in America.

Un rincontro avvenuto nel programma di Raffaella Carrà ‘Carramba che sorpresa!’ a cui segue un pranzo al ristorante dove la zia Giuly, oltre alla sua obesità, mostra una voracità tutta americana e lo zio Jack un attaccamento al whiskey.

Durante la conversazione sui progetti della zia dopo il loro rincontro, Lando viene informato dalla stessa dell’intenzione di passare del tempo in Toscana a casa sua.

Dal giorno successivo all’arrivo a casa, la vita di Lando viene sconvolta dalle esigenze abnormi e dai comportamenti tutt’altro rispettosi degli zii che impongono il loro modo di vivere fatto di spese esagerate per il cibo, l’installazione di elettrodomestici e non solo di grandi dimensioni rendendo la semplice e modesta casa di Lando una dimora con tutti i comfort, con tanto di bandiera a stelle e strisce issata fuori dalla stessa. A questo si aggiungono le ‘sveglie’ inopportune dello zio Jack che alle 5 di mattina si dà ai rumorosi esercizi di addestramento, come quando era nell’esercito.

Le cose si complicano per Lando con l’arrivo della loro unica figlia, Wendy, una bionda mozzafiato (la fantastica ai tempi Victoria Silvstedt) e suo figlio, Nicolas, un antipatico bambino patito dei videogiochi.

Nonostante una relazione, sessuale, con una contadina (con cui si incontra segretamente in un fienile), Lando si innamora della cugina e, ricambiato da lei, fra i due nasce un breve flirt interrotto dall’arrivo del papà di Nicolas, un musicista, con cui lei ha un rapporto difficile.

Intanto la infelice vita di Lando con i parenti arriva a un punto di rottura: tornato a casa un giorno con una femmina per il suo tacchino, informato dagli zii seduti a tavola della decisione di restare da lui altri tre mesi e di festeggiare a questo proposito con la cena del Ringraziamento, a vedere che il tacchino usato per quel momento è il suo, Lando impazzisce e sequestra i parenti sfasciando tutti gli oggetti che gli zii gli avevano costretto a installare.

Una tv locale si occupa del caso e, mentre all’esterno è schierata la polizia con la presenza di alcuni curiosi, arriva Wendy che, partita qualche giorno prima con il padre di Nicolas, dopo avere saputo dei genitori e del figlio tenuti in ostaggio, grida a Lando di essere tornata per vivere per sempre con lui.

Convinto a fatica dalle parole della cugina, Lando si arrende, esce dalla casa, va incontro a Wendy e i due si baciano.

Cinque anni dopo la vita di Lando è cambiata: avendo sposato Wendy ha accettato di prenderne in casa il figlio e i genitori, di cui la zia è diventata ancora più obesa (tanto da non potere uscire dalla porta della sua stanza) e lo zio, colto da ictus, ha preso il posto del padre sulla sedia a rotelle; oltre a questo con lei ha fatto due figli, ma più di tutto la sua vita è diventata completamente americana. Di italiano è rimasta solo la contadina con cui si incontra ancora per fare sesso.

Un’attenzione particolare per questo film a Victoria Silvstedt, non per le sue doti di recitazione (nessuno sembra distinguersi particolarmente in questa commedia), ma per la sua bellezza statuaria che spesso cattura (e non era ritoccata come oggi…la svedesina!); e pensando a Ceccherini mi tornano in mente le sue attenzioni poco gentili verso un’altra straniera da paura, l’australiana Megan Gale (i primi spot della ‘Omnitel’, poi ‘Vodafone’, ve li ricordate?) al Festival di Sanremo di due anni prima (sempre la Carrà alla conduzione): bestia ladra, ci sarei voluto essere io a ‘innamorarmi’ (eccitarmi) fino allo svenimento con due bellezze così.

Interessante la colonna sonora con due classici della musica americana: ‘Long Tall Sally’ di Little Richard e ‘At Last’ di Etta James con in più ‘A Little Less Conversation’ di Elvis Presley in una famosa versione remixata di un anno prima (famoso il video).

La mia vita a stelle e strisce’ non lascerà segni nella storia del cinema italiano, ma con il capolavoro interpretato da Alberto Sordi è utile per raccontare l’affermazione di un fenomeno che nel nostro paese più che altrove ha trovato un terreno fertile, e nessun tentativo veramente profondo di contrastarlo: insomma…il nostro amor di patria che si piega allo straniero. E nel caso di Lando…a una straniera.

Carico i commenti... con calma