Eccovi servito, signori e signori, un bel piattaccio di black metal rustico e pasticciato, di quelli genuini genuini che non si trovano manco nelle peggiori bettole di Scampia.

I cechi Master's Hammer, che si presume esistano fin dal 1983 (!!!), sono un'infingarda allucinazione, ti danno l'impressione di trovarti innanzi alla banda seminale; da quanto son vecchi dentro ti fanno pensare “porca miseria quanto erano avanti questi qua nell'86”; nei fatti però, questo “Ritual”, il loro debutto in gran formato, è del 1990, e già pensi a quanto erano indietro. Una di quelle bande che potrebbero stare bene in compagnia di Venom, Bathory e Hellhammer, e che in realtà si rivelano essere un manipolo di disgraziati del secondo mondo, in clamoroso ritardo con i tempi.

Non era facile, forse, suonare metal entro i confini dell'ex blocco sovietico, e per questo li perdoniamo, e a tratti vogliamo loro pur bene, mossi a compassione dal loro spregevole aspetto fisico (mai i miei occhi hanno avuto modo di posarsi su figuri più brutti e sgradevoli: visi grassocci ed avvinazzati, capelli polverosi, sguardi persi nel vuoto, baffi à la Stalin, tanto che le foto dei primi brufolosi Metallica ci sembrano book fotografici degni dell'alta moda parigina).

In verità c'è da riconoscere ai nostri squallidi amici, stando al Rituale, il fatto di aver saputo anticipare la rivoluzione sinfonica compiuta qualche hanno più tardi da gente come Cradle of Filth ed Arcturus. Questo perché lo sfibrato e vetusto thrash metal patrocinato dai Nostri viene abbondantemente infarcito da pompose tastiere che vorrebbero rendere morboso un sound che trova la sua forza in una tal cattiveria e in una tal ignoranza (nell'accezione di ignorare le buone maniere) che ci paiono per davvero di altri tempi, prima ancora che anche il metal estremo si ammantasse di quella patina di perbenismo che dalla seconda metà degli anni novanta in poi renderà artefatto e meno genuino lo sforzo di molti cattivoni capelluti (presto rapati) dediti al verbo del metal pestone.

Inutile stare a fare un track by track, non per altro per non starmi a stressare a riportarvi inutili titoli in lingua madre, adottata nella stesura delle liriche (altra originalità da rimarcare nella proposta fuori dal tempo dei Nostri).

Posso tuttavia sostenere che i pezzi scorrono vari ed articolati e brillano di una incredibile dinamicità: il tasso tecnico è stranamente più che dignitoso; solo manca l'abc di come si sta al mondo.

Le urla belluine e sgraziate di Storm (anche alla chitarra, nonché autore di tutti i pezzi) sono qualcosa di davvero agghiacciante, e richiamano vagamente sua maestà Attila Csihar, nello stridulo becerare, come nelle (poche) apparizioni di vocals pulite; la lingua incomprensibile e anti-musicale rende il tutto ancora più spigoloso, ma per certi aspetti straniante. Qua e là si accennano arcaici ed innervosenti blast-beat, che accelerano sovente l'andatura, già assai sostenuta di per sé, dei pezzi, che comunque non disdegnano inefficaci mid-tempos, repentini cambi di tempo, epiche cavalcate o rallentamenti al limite del doom più rancido e pomposo.

La chitarra (udite udite) si lancia di tanto in tanto in fraseggi più ricercati (evocanti un'imbolsita NWOBHM), e non teme di confrontarsi con assoli che pretenderebbero essere melodici. A completare il quadro: i tonfi riverberati di timpani (suonati da un baffuto e panzuto energumeno, evidentemente più compagno di bevute che musicista), chiamati (inutilmente) a dare quel tocco sinfonico in più, di cui, sinceramente, non si sentiva granché bisogno.

Insomma, né troppo malvagi per far star male l'ascoltatore, né troppo tecnici per far gridare al miracolo, maestosi senza essere monumentali, poetici manco per il cazzo, in definitiva i Nostri peccano dell'ingenuità tipica di quei poveracci che spremono in buona fede tutte le loro energie, a tratti andando oltre le loro possibilità, spesso perdendo il senso della misura e il buon gusto.

Eppure un dannato fascino questo polveroso “Ritual” ce l'ha; nella triste solitudine delle nostre stanze ci ritroveremo a sbazzare con le mascelle straboccanti di orgoglio: l'orgoglio di appartenere alla plebea stirpe del metal più ricercato ed ignorato. E sarà un bene che tutti i buoni estimatori di black metal lo facciano proprio quanto prima, se non altro per sussurrare a gentil donzelle da conquistare in stanze non più colme di solitudine: “Ma guarda com'erano brutti questi qua, con me stasera t'è andata di lusso!

Un capolavoro d'altri tempi.

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