Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare (tutta o in parte) su unmute.net

Tenetevi forti: questo disco può creare il panico (e non è uno scherzo...). Ma andiamo con ordine: M.C. Schmidt a Drew Daniel, i titolari del progetto Matmos, sfornano nel 2001, dopo il pur valido Quasi object, il loro capolavoro: A chance to cut is a chance to cure. I nostri due scatenati sperimentatori (entrambi figli di medici e forse non è un caso!), questa volta usano materiale di partenza proveniente da sale operatorie, studi medici, laboratori: un viaggio intorno al corpo e dentro il corpo, un progetto folle e allucinante degno di J.Verne ma che nessun musicista aveva ancora intrapreso. Un viaggio che ripercorre, con urgenza sempre maggiore, ciò che la letteratura (il post-moderno ed il cyberpunk), la pittura (Bacon), la fotografia (Serrano) e il cinema (Cronenberg e Greenaway) ci hanno mostrato dal dopoguerra ad oggi: la bellezza della Carne, la poetica degli Organi, il Sangue come feticcio. Un lavoro concettuale quindi, ma non per questo meno godibile. Il duo elettronico raccoglie il materiale in sala operatoria, ma è poi nella quiete domestica che inizia ad operare un lavoro di taglia e cuci caro a Burroughs e Gysin che lo trasforma sino a renderlo a stento riconoscibile, e, forse per questo, più fruibile.

Il disco si articola in sette frammenti (canzoni? brani? interventi a cuore aperto?):
- LIPOSTUDIO...AND SO ON.
Il pezzo è costruito utilizzando i suoni registrati durante un’operazione di liposuzione.Ad alleggerire l’atmosfera, altrimenti morbosa, ci pensano chitarre suonate in vario modo, voci e campionamenti.
- L.A.S.I.K.
Il materiale di partenza è registrato durante un’operazione di chirurgia Laser dell’occhio. Forse il brano meno riuscito dell'album, spesso i suoni si fondono e confondono dando una sensazione di rumore bianco che risulta difficile definire piacevole.
- SPONDEE-Dante.
La ripetizione ossessiva di parole spondee (cioè con lo stesso accento sulla prima e la seconda sillaba), accompagnata da un basso pulsante, ci spinge infatti a pompare al massimo
il volume e, ahimè, a divenire un po’ più sordi!
- UR TCHUN TAN TSE QI-
Qui lo Zen si fonde con l’arte dell’elettronica. Questa volta sono gli elettrodi di un detector per agopuntura la fonte d'ispirazione per l'elettronica di S.&D. Le melodie sono modulate sulla pelle di Martin dalle mani del suo amante che muovono i pin del detector lungo i meridiani del suo corpo.
- FOR FELIX (AND ALL THE RATS).
Il capolavoro nel capolavoro. S.&D. scrivono un elegia per il loro topo morto utilizzando come strumento la sua gabbia ormai vuota. Le melodie dell'incipit sono ampie e avvolgenti, trasognate: l'idea di suonare la gabbia con l'archetto è geniale, neanche i Sigur Ros sono mai stati tanto coinvolgenti. Il brano prende poi corpo, diviene sempre più convulso, fino alla rabbiosa catarsi finale.
- MEMENTO MORI.
Una sonata per teschio umano, spina dorsale di capra, tessuto connettivo e denti finti: vengono alla mente gli scheletri percussionisti di tanti cartoni Disney: tutti dobbiamo morire, ma perchè non riderci sopra?
- CALIFORNIA RHINOPLASTY.
Regitrazioni di plastiche nasali in tutte le loro varianti sono la base del brano che chiude l'album a cui si aggiunge, non certo senza ironia, una melodia suonata col flauto da naso.

Insomma, c'è da tenersi forti e sopratutto c'è da rendere onore al merito di questi due folli sperimentatori capaci di fondere la ricerca più spinta con le atmosfere elettroniche/dancefloor, passando indistintamente da una all'altra senza deturpare il senso del loro lavoro. Disco originalissimo consigliato a chi ha orecchie insaziabili di novità ma che, al tempo stesso, ha voglia di ritmo e una certa godibilità di approccio. Sconsigliato agli amanti dei ritornellini facili facili da Radio DeeJ e a chi odia... gli ospedali, il dentista e compagnia bella.

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