Ci sono aree della memoria musicale che, una volta passato il loro tempo regolamentare, non verranno mai più esplorate (o quasi). Tutti impazziamo per il jazz contemoporaneo, o per quello dei ’60, con tanto swing, sperimentazioni bop, hard bop e messaggi rivoluzionari inclusi. Del Davis degli anni ’70 e della sua diaspora, delle contaminazioni col rock, poi, sono pieni gli scaffali delle nostre case. Classica? Quanta ne vuoi: a tonnellate. Del jazz degli anni di inizio secolo scorso invece non si parla mai; quasi come fosse qualcosa di cui vergognarsi: primitivo, rudimentale, approssimato o altro. Sbagliatissimo! Davis diceva che tutto ciò che egli faceva era già stato abbondantemente detto da Louis Armstrong. E Armstrong diceva che le cose che facevano King Joe Oliver, Bunk Johnson e Buddy Bolden con i loro strumenti e le loro band erano da favola. Non facciamo fatica a credergli, ovviamente. Quanto però a portare avanti concretamente quello stile e quella tradizione: quasi nessuno! Tra questi rarissimi “salmoni controcorrente” di sicuro annoveriamo Matt Munisteri, oriundo newyorkese di terza generazione. Questo disco è semplicemente un puro piacere (intellettuale oltre che auditivo) da poggiare sul lettore e lasciar andare.
Il nome Brock Mumford viene direttamente dal chitarrista di Buddy Bolden, leggendario trombettista di inizio secolo di cui purtroppo non abbiamo alcuna traccia documentale. Essendo Matt un musicista che si rifà per gusti, atmosfere e strumentazione direttamente a quell’epoca, egli ha pensato bene di porgere un doveroso omaggio al vecchio chitarrista, chiamando il gruppo che lo accompagna col suo nome. L’incisione vede l’apporto della batteria solo nel secondo brano; tutto il disco ha un mood discreto, soffuso ma certo non “fiacco”; di assoluto sapore retrò. Ma è forse doveroso l’acquisto per tutti coloro che volessero allargare i propri orizzonti jazzistici oltre il già esplorato.
1) “Lonely acres in the west“ è un traditional in cui facciamo conoscenza coi ragazzi: Matt alla chitarra, Will Holshouser alla fisarmonica, Jim Whitney al basso Jon Erik Kellso alla tromba (spesso sordinata: pujè trumpet). Molto ritmo, swing deciso ed incessante per la riproposizione di un brano di tipica speranza americana. Fisarmonica che richiama decisamente Marsiglia o New Orleans e tromba molto discreta. Matt ha una voce particolare; egli infatti ama cantare i brani, propri od altrui. In veste di musicista puro è comunque eccezionale: sentirlo eseguire dal vivo standards a velocità impressionante e con padronanza tecnica del “mezzo” superlativa ti fa domandare direttamente: “perché non fai anche questo”? E lui ti risponde con un sorriso modesto “Perché il jazz dei primi anni è quello che mi piace veramente fare…”.
2) “Let’s do something bad” è composto da Matt ed è un medio slow ballabile e trascinante in cui, dopo una intro “no tempo” di cantato e pochi accordi, la canzone decolla per cullarti pian piano. Atmosfere serali della NY di inizio secolo scorso; con fumo nell’aria, radio che diffonde pian piano la stessa musica nei soggiorni delle case americane. Riposo dopo il lavoro. Atmosfere di positività e futuro in crescita. Qualcuno magari già lontano, sul fronte europeo. Il jazz penetra dappertutto e cementa le anime.
3) “Sign me up” di Matt, è un valzer puro, che sale dal dna di Munisteri direttamente alle sue dita e ricorda le feste di piazza siciliane, con processioni e tromba in testa alla banda. Incredibile come le cose rimbalzino da una sponda all’altra dell’oceano. Sviluppo molto simile ad un brano bandistico classico. La voce di Matt racconta cose. Leggetevi tutto il libretto, per sorridere e sentirlo come un lontano cugino emigrato che si sta ambientando in Usa.
4) “Johnny” è un blues composto da Matt; trascinato e bellissimo. Raccorda perfettamente la radizione blues rurale Usa con l’ampio retroterra del cantautore. Particolarissimo e molto ben eseguito. Soli stupendi. Dal vivo costituisce uno dei pezzi forti dell’esibizione.
5) “Cry cry cry” è un pezzo in stile rag-time che è interessante ascoltare per verificare come la chitarra abbia molte potenzialità ancora inespresse, a dispetto dai detrattori. Bello e affascinante. Influenze fingerpicking; solo di tromba breve ma efficace.
6) “Mysterieuse” è uno strumentale che presenta un alto tasso di fisarmonicità. Holshouser pervade con i suoi suoni la sala da ballo e ti lascia a bocca aperta per la sua bravura. La chitarra è usata in funzione ritmica. Tutti gli ottimi chitarristi sono anzitutto degli ottimi ritmici. Senza una batteria, poi, il peso della gestione del tempo ricade in parti ripartite ed uguali. Ma i chitarristi ed i bassisti debbono essere più uguali degli altri. I soli di tromba e chitarra rivaleggiano in bravura con la fisarmonica in un’atmosfera da call and response godibile e piena.
7) “Lazybones” è uno standard in cui Matt si esibisce con voce e chitarra. Da gustare con un po’ di zibibbo siculo. Doveroso in questo caso. Il pezzo è un gioiellino di canto e contrappunto. Cambi di tempo nel guitar solo invero impressionanti. Uh, dimenticavo: Matt non conosce una nota scritta che sia una!!!
8) “The signifying rag” è di Matt e si sviluppa in maniera accattivante man mano che lo senti. Questo disco ti si inchioda nelle tempie e ti manca solo di andare a comperarti un doppiopetto con panciotto ed un apposito feltro (a proposito: 72 fasi di lavorazioni almeno, per un cappello in ventre di coniglio che sia un vero copricapo di marca ed ottima qualità!)
9) “Lucky ole trump” sempre di Matt è un pezzo romantico assai che richiama alla mente storie passate. Swing rascinante, discreto e tema pervasivo.
10) “Picciaridu” è il palese omaggio alle proprie radici italiane, abbiamo infatti un bel valzer in cui il papà si dispera per la propria figlia che domani andrà via. Esilaranti gli errori grammaticali, a partire dal titolo che ne contiene almeno tre, compreso il cambio di… “genere” (Picciridda)!
11) “Sparkle” (Munisteri) è un gioiellino di tre minuti tutto da scoprire e gustare.
12) “Sidestep” (Munisteri) è un bel brano in linea con tutto il disco, la sua atmosfera è particolare ed il bello dell’opera è anche decifrare i testi in unione con la musica. Veri incastri che risentono del modo di comporre dei più moderni cantautori, ma in una veste antichissima.
13) “Don’t think twice it’s alright” è un omaggio a… be’ se non sapete a chi, non potete acquistare il disco: siete troppo giovani (beati voi!). Palestra per assoli al fulmicotone e godimento R&R puro, per “giovani dentro” e ginocchia con principi d’artrite non più trascurabili.
14) “Orange crate art” è il pezzo finale di 2’56’’. Una leggera ballad che vi lascia in bocca il sapore retrò di un disco unico nel panorama jazzistico internazionale
Bene, chissà che razza di produzione ed investimenti vi sono, dietro ad un’opera del genere, no? Wrong: il disco è stato inciso in diretta, dal vivo, rapidamente e con pochissimi mezzi. Come solo i veri grandi artisti. Dedicate mezz’ora ad esplorare il sito ed il mondo di Matt, che si esibisce regolarmente anche in trio con la compagna Rachelle Garnier (pianista e fisarmonicista d’origine francese) e la violinista Jenny Scheinmann . Scoprite, se vi va, un capitolo pieno di inediti, brillanti ed intimi tesori melodico-ritmici, per un’esperienza nuova che di sicuro arricchirà il vostro spirito!!! (Su Amazon usato a partire da… 0,75 $!!!)
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