Gli 883 da 'Hanno ucciso l'Uomo Ragno' a 'La dura legge del gol' sono stati la colonna sonora della generazione nata negli anni '80 (la mia).

Pur avendo gusti musicali vari, le canzoni di quegli album le amavo molto. Ma c'era una cosa che mi dispiaceva: non poter essere simile a certi ragazzi fighi che ammiravo avendo la ragazza o amici 'giusti', che ascoltavano o potevano (potenzialmente) ascoltare le canzoni di sfiga e di amicizia del nostro, pur essendo (loro) fortunati e io no.

Passati 'due decenni' (20 anni) avevo scoperto questo libro alla 'Feltrinelli' di Genova e lo leggevo con molta curiosità; tre anni fa, in concomitanza con i 20 anni dall'inizio della mia amata scuola alberghiera (dove il dispiacere prima raccontato era a suo modo palpabile), avevo deciso di ordinare questo libro per conoscere di più la storia dell' 'ultimo cantautore originale dai tempi di Domenico Modugno' (come lo definisco io riguardo a stile di scrittura e contenuti), essendo stato istruito da un giornalista di tutto rispetto come Edmondo Berselli, che in un libro del '99 ('CANZONI - Storie dell'Italia leggera') analizzando il valore sociologico e antropologico di alcune figure della musica italiana (Mina e Celentano, Lucio Battisti, Vasco Rossi e Claudio Baglioni) nella società ha dedicato un intero capitolo a Max Pezzali, definendo il tipo di generazione rappresentata dalle sue canzoni come 'senza padri né maestri' e di italiano come 'quello povero ma bello del Dopoguerra con il sogno dell'America nel cuore' (non ricordo bene le parole): per dirla in parole povere, una generazione di 'qualunquisti'.

Questo libro non è il primo nella piccola produzione del nostro: una prima autobiografia ('Stessa storia stesso posto stesso bar') e un romanzo ('Per prendersi una vita').

Questa autobiografia è uscita dopo il ventennale di carriera da 'Hanno ucciso l'Uomo Ragno': Max racconta la sua infanzia di bambino a volte lasciato solo dai genitori che lavoravano tutto il giorno nel negozio di fiori, l'adolescenza da sfigato senza essere considerato dai tipi fortunati con le 'tipe' (ma riuscendo a trovare il modo di vivere felicemente la sua adolescenza), gli insuccessi scolastici, la scoperta della musica, l'incontro al liceo con Mauro Repetto (molto diverso da lui per carattere e intelligenza) e la loro amicizia, le prime esperienze musicali attraverso la scoperta di Claudio Cecchetto e Radio Deejay, il periodo difficile nei primi anni '90 prima di arrivare ad 'Hanno ucciso l'Uomo Ragno' e tutta una storia di successi con il gruppo e poi da solista.

Nel mezzo di un racconto di persona comune ma con una marea di potenziali ed effettive sfighe, si racconta almeno nei primi capitoli anche la città dove è cresciuto, Pavia, dopo le contrapposizioni politiche degli anni '70, senza possibilità di aggregazioni per i giovani, di tribù giovanili legate a uno stile musicale e a un look, economicamente dedita al Terziario e qui e là anche dell'Italia (in un capitolo raccontando del periodo di uscita dei primi due album, il nostro Paese spiegato come di una società che dopo la vittoria ai Mondiali dell' '82 era di benessere diffuso, ma solo percepito - l'Italia di influenza craxiana, dove giravano tanti soldi, ma anche corruzione).

Un libro che tiene incollato fino alla fine, grazie alla semplicità di scrittura e alla capacità di Max di immergere nella propria vita come se stesse di persona raccontandola.

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