Non c’è che dir, da qualche tempo solo ragguardevoli consigli dal famoso tubo. Sarà che ultimamente cascano con il giusto cielo serale sopra il flaccido pouf inchiodato in terrazzo, ma devo dirlo: metereologicamente questo disco è cascato bien. Che sia successo di venerdì a causa di qualche inopinabile magia non saprei, ma per questo friday afternoon in the universe, purtroppo per fortuna ci vuole quella maledetta aria torrida. Innanzitutto mai sentiti nominare, e ciò che di prima istanza ho interpretato come un Martin Medesky del bosco è in realtà un trio:

Martin: percussore d’ombre.
Medesky: tastierame misto assortito.
Wood: asso di bastoni, armoniche e legnosi flauti.

Ora, per la mia eventuale dieta musicale di maggio/aprile, tra insalatone di Heliocentrics e funk di prim’ordine che condensa sui bicchieri, questi nuovi commensali primaverili possono solo far sbocciare vini come fiori. E lì, tra i pesi mentali delle giornate e l’insostenibile caldo, l’istinto mi risuona il disco come un gioellino di jazz caduto dal cielo nei 90s. Chissà, magari un giorno ne avrò l’orchite, ma ora val la pena per me di scrivere qualcosa su qualcosa.

  • The Lover, l’ambaradan parte così semplice, ed a meno che non (mi) sfugga qualcosa, ti accende il joint con un motivo troppo consolidato per non risultare familiare: probabilmente il pezzone che mi porterò dietro da questo giretto.
  • Chubb Stub, altro brano dal piglio ammaliante sul sottoscritto, con quel vago bouquet di contrabbassi a là Soul Coughing sul petto e sorriso suadente,

Sinceramente, bel disco: una gradinata nel cielo che continua a collassare su se stessa, tra il più semplice e benevolo free jazz che toglie scalini allo zoppo funk che ne infila di storti, in una passeggiata contro gravità frammista a deragliate sensoriali assortite. Spero faccia nuove conoscenze.

LP

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