Il concerto comincia alle sette e mezza ma un'ora prima io e alcuni amici siamo già arrivato al Gran Teatro Geox di Padova. Si terrà qui la seconda e ultima tappa italiana dello "European Carnage Tour", carnefcina sonora perpetrata da due autentici mostri sacri del thrash metal: Slayer e Megadeth.

Mentre passeggio sul piazzale davanti al teatro, circondato da centinaia di ragazzi e ragazze con addosso t-shirt nere e gli intramontabili chiodi, minute gocce di pioggia (purtroppo non di sangue) cadono dal cielo plumbeo e dal Gran Teatro giungono ovattati i rumori del sound-check. A un certo punto un tuono fragoroso scuote i gazebi sotto i quali ci siamo riparati, al che alcuni urlano "Slayeeeeer!!!" con aria indemoniata, altri prorompono in irripetibili bestemmie, altri ancora continuano imperterriti a scolare birra e a ruttare come flicorni. Tutto molto metal.

Dopo un corroborante paninazzo con salsiccia e cipolla, entro nella sala del teatro dove i Sadist, presenti in veste di "special guest", hanno già cominciato a suonare. Confesso di non conoscerli granché bene, i Sadist: ho ascoltato qualcosa da "Tribe" del ‘96, l'ultimo album e poco altro. In ogni caso mi fanno un'ottima impressione: Trevor, il cantante, sfoggia un growl su un registro alto molto incisivo, mentre la band si destreggia alla grande con il suo death metal progressivo e atmosferico, tra schitarrate e tastiere fascinose, suonando precisa e compatta e supportata da una buona resa sonora (comunque inferiore a quella riservata agli headliners). L'impressione che ne ricavo, come dicevo, è molto positiva, al punto che l'indomani mi decido a comprare la loro ultima fatica, "Season in Silence".

Dopo i Sadist è la volta dei Megadeth. Sulle note di Skin O' My Teeth compaiono prima Ellefson, Broderick e Drover, poi Dave Mustaine entra di corsa imbracciando una chitarra a doppio manico (una Dean? una Jackson?) giusto in tempo per cominciare a cantare. La scaletta proposta dai Megadeth è un vero e proprio tuffo nel passato, con molti classici del periodo ‘86-'92 (da Wake Up Dead a In My Darkest Hour, da Symphony Of Destruction a Hangar 18), l'immancabile power ballad A Tout Le Mond e soltanto due pezzi da "Endgame". Sono in forma smagliante, i vecchi Megadeth, suonano senza sbagliare un colpo, disinvolti e precisissimi anche nei passaggi tecnicamente più impegnativi. L'esibizione raggiunge il suo culmine quando David Ellefson attacca il giro di basso di Peace Sells... But Who's Buying?, Mustaine e gli altri lo seguono a ruota sbattendo furiosamente la testa (provateci voi a cinquant'anni!) e sul palco si materializza la lugubre figura di Vic Rattlehead, storica mascotte della band. Il pubblico è in visibilio, tutti a urlare il ritornello (tatatatata-tata / "If there's a new way...") e a dimenarsi come forsennati. In totale i Megadeth eseguono dodici/tredici brani, non tantissimi, dopo poco più di un'ora il concerto è già finito e i musicisti si ritirano dietro le quinte. Il pubblico però invoca a gran voce Mustaine che, come da copione, ritorna sul palco, ringrazia ripetutamente i fan e attacca il riff della mastodontica Holy Wars... The Punishment Due. Cazzo, vedere da pochi metri il rossocrinito Dave suonare senza sforzo apparente l'assolo di Holy Wars... è veramente qualcosa di esaltante.

I Megadeth se ne vanno dopo un'eccellente performance, adesso tocca agli Slayer. Il tempo di sistemare il drum set di Lombardo e gli immancabili aquilotti della scenografia ed ecco che nell'aria risuonano le sinistre note di World Painted Blood usate come intro per il concerto. Quando la nube rossa che avvolge il palco si dirada, appaiono Kerry King e compagni che cominciano a macinare riff con una violenza formidabile. L'unico assente è Jeff Hanneman, ancora convalescente per un'infezione al braccio destro causata, pare, da un morso di ragno. Al suo posto c'è l'ottimo Gary Holt, chitarrista degli Exodus: sarà il suo ultimo live con gli Slayer, che a partire dal 6 aprile beneficeranno dell'apporto di Pat O'Brien (Cannibal Corpse) per le ultime date del tour europeo. Il volume delle chitarre è ancora più alto, la doppia cassa me la sento pulsare nel petto, sembra che le implacabili rullate di Lombardo mi arrivino dritte sulla faccia. Devastante. Araya tra l'altro è davvero in palla. Su youtube è relativamente facile imbattersi in video di lui che canta con una certa fatica, con la voce bassa e roca, saltando alcuni versi; stasera invece non si risparmia e canta benissimo (che significa "in maniera simile alle versioni studio"). Il pubblico comincia a scaldarsi - anche se dalla mia posizione un po' defilata, sul lato sinistro della platea, non ho visto poghi particolari - e in breve tutti si lasciano andare ad un headbanging sfrenato. Anche gli Slayer propongono soprattutto pezzi del loro primo periodo (‘83-‘90), da The Antichrist a Dead Skin Mask; una sola canzone dell'era Bostaph, la terrificante Payback, e quattro brani dall'ultimo album. Le canzoni si susseguono senza pause troppo lunghe - a differenza di quanto accadde all'Heineken Jammin Festival di quattro anni fa - e, come vuole la migliore tradizione slayeriana, spesso suonano più dure e veloci delle corrispettive versioni studio. Da infarto la sezione conclusiva del concerto: il lungo stridio in feedback di South Of Heaven fa da sottofondo ai colpi sui tom di Raining Blood; l'ultimo riff di Raining... si trasforma, senza soluzione di continuità, nella velocissima intro di Black Magic (quasi trent'anni e non li dimostra); un secondo di pausa e poi esplode Angel Of Death, degno epilogo di una performance micidiale. Me ne sto lì a fissare il palco, con il collo dolorante, stupito ancora una volta dalla furia con cui gli Slayer suonano il loro pezzo più famoso e controverso. Alla fine Tom Araya ringrazia il pubblico in italiano (ci prova, almeno) e, in men che non si dica, anche la supersonica performance degli Slayer si è conclusa. Mi allontano dal palco ancora gasatissimo e quasi per caso noto un triangolino verde per terra; mi chino a raccoglierlo e mi ritrovo in mano un plettro dei Megadeth con la firma di Ellefson (non autografa, eh!) sul retro. Botta di culo impressionante.

Ecco, direi che il tutto si può riassumere in poche parole, dicendo semplicemente che è stato un classico concerto dei Megadeth e degli Slayer: gli appassionati di thrash metal conoscono bene l'energia devastante che questi gruppi sono in grado di sprigionare dal vivo. La cosa davvero notevole di questo evento e del "Carnage Tour 2011" è proprio il fatto che Slayer e Megadeth abbiano calcato lo stesso palco: fino a cinque o sei anni fa una simile alleanza sarebbe stata improbabile, date anche le continue scaramucce tra King e Mustaine; poi l'età e la saggezza (!) hanno contribuito a placare gli animi, ricreando, sia pure in minima parte e con tutte le differenze del caso, un'atmosfera da primi anni Ottanta, quando non era infrequente che le due bands si esibissero assieme nei fumosi locali di San Francisco. Poi certo, anche la rinascita commerciale del thrash e del metal "old school" avvenuta in anni recenti ha giocato un ruolo decisivo nel promuovere questa e altre manifestazioni, tant'è che persino quelle vecchie volpi dei Metallica hanno pensato bene di unirsi al carrozzone dei cosiddetti Big Four... Ma evitiamo le polemiche: eventi di questo tipo fanno la gioia di ogni metal-fan, e questo concerto è stato, dal mio punto di vista, semplicemente magnifico.

Onore a Slayer e Megadeth.

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