"Music for me is my prayer, my praise, but also an opportunity to
listen and hear
how musicians can take a seed and create,
           grow,
              build,
            communicate with each other,
                     paint,
                      fly, 
                   fall,
              return,
Then depart again on the unknown journey."

Scorrendo con lo sguardo i nomi dei musicisti che hanno preso parte alla realizzazione di questo disco, ho progressivamente sgranato gli occhi come un bambino goloso di fronte alla vetrina di una pasticceria: Don Byron, Kenny Garrett, Jack De Johnette, Cassandra Wilson, per citarne solo alcuni. Grande curiosità, quindi, ed altrettanto grande desiderio di inserire il cd nel lettore, ma allo stesso tempo nessuna illusione, perché non necessariamente la partecipazione di tanti nomi di altissimo livello conduce alla creazione di un bel disco. In questo caso, però, devo ammettere che gli ingredienti in gioco sono stati miscelati egregiamente. Infatti, siamo dinanzi ad una eccellente ed originale produzione musicale, dovuta sia al grande spessore artistico dei musicisti coinvolti, che al loro elemento aggregante costituito da Meshell Ndegeocello. Infatti, si deve a questa eclettica ed intelligente compositrice-cantante-bassista Afro-americana la riuscita della non facile impresa di creare una musica capace di esaltare i contributi espressivi di tutti coloro che hanno partecipato a questo lavoro.

Come testimoniano i suoi precedenti album, la sua musica tende naturalmente ad unificare generi musicali diversi: pop, rock, blues, soul, rap, R&B, jazz, funk. Ed anche in questa occasione è possibile scorgere i tratti di un'ordinata e piccola Babele musicale. Meshell fonde, non confonde, musiche e anime, lasciando che ogni singolo apporto mantenga riconoscibilità. Ciò si avverte già dal principio ("Mu-Min") caratterizzato da sonorità jazz-funky fluidificate su un sottofondo elettronico. Suoni puliti, liberi e decisi fanno subito capire che questo è un disco jazz sui generis, traboccante di riferimenti. La musica si esalta con i fiati di Oliver Lake, Don Byron e Joshua Redman, perfettamente a loro agio in questo contesto. Analogamente, pur in una atmosfera diversa, nei sviluppi seguenti. In "Al Falaq 113" una frenetica introduzione di percussioni, dal vago sapore etnico, è il preludio di una quiete su cui si innestano con estrema naturalezza, prima, il pianoforte di Michael Cain, poi, i fiati di Wallace Roney e Kenny Garrett. Una sola sensazione traspare nettamente: grande classe ed eleganza, accanto ad una solida costruzione dell'impianto melodico e ritmico. Poi tocca a Sabina Sciubba donare la propria voce ad uno dei pochi brani cantati dell'album: "Aquarium". In verità è uno degli episodi che ho apprezzato di meno, forse perché la cantante mi è sembrata un folle incrocio tra Sade e Björk. Ma è un attimo, perché in seguito il disco prende decisamente quota. A tratti il suono del basso elettrico, suonato ora da Matthew Garrison, ora dalla stessa Meshell Ndegeocello, è capace di far intravedere il fantasma di Jaco Pastorius ("Papillon"): suoni aperti, rotondi, mordidi, raffinati. Sì, la musica decolla tra reminiscenze dei Weather Report e si giunge ad esser sedotti dal fascino del sax tenore di Oran Coltrane, circondato dalle tastiere di Neal Evans come una sottila regnatela. Finché la maestosa, densa e profonda voce di Cassandra Wilson incanta e avvolge l'ascoltatore in un caldo abbraccio ("The Chosen"). Non mancano, infine, virtuosismi ed improvvisazioni continue, che consentono ad ogni solista di mettersi volta per volta in luce, senza offuscare gli altri musicisti.

Un grande equilibrio regge questa musica, che lentamente si trasforma in un veicolo per un viaggio interiore, sfociante sul finale in un blues che ricorda le atmosfere di New Orleans. Interpretato dalla sontuosa voce di Lalah Hathaway è un eccellente epilogo, di un disco semplice e sofisticato insieme, capace di creare il desiderio di immergersi ancora in nuovi ascolti senza sosta.

Carico i commenti... con calma