Bene; partiamo sparati.

1) ‘Flipper’ è l’inizio del CD; breve (2: 37) e quale intro delicatissima e no-tempo. Fraseggio di sax sonnolento e piano Fender pigro ma definito. Note sparse di contrabbasso e piatti leggeri per l’aere.

Subito dopo arriva 2) 'Lemmy Caution': un brano stupendo che sembra tratto di peso dalla migliore produzione Pink Floyd seconda metà anni settanta: una introduzione loopata di Rhodes con delay fa da tappeto al tema sussurrato dal sax. Pian piano il pezzo si dispiega e cresce. Chi abbia dei dubbi su cosa sia il jazz oggi… be’ d’ora in poi ne avrà molti di più! Il sax prosegue graffiando dolorante sul bordo di questo giro inquieto e spettrale che ti mette sofferenza e ti affascina al tempo stesso. Crescendo finale come in un bolero, termina con un orgasmo che include una chitarra sustainata discretissima e melodica. Sfumata finale per chiusura.

3) ‘A Messy Business’ è anch’esso un brano di atmosfera assoluta. Ed originalissimo. La chitarra di Teddy Kumpel, ospite sottinteso di questo disco dialoga in retrovia con gusto e misura frutto di lunga esperienza, maturità e senso della “canzone”. Ci vuol molta più umiltà e maturità a suonare due note sparse al punto giusto e non una di più che a fare il guitar shredder. E proprio quando pensate che il brano sia finito è il momento di tenersi forte sulla sedia: parte un beat anni ’ 60 con solo allucinato di chitarra detuned che fa da comping e da sfondo al tempo stesso per il sax di Michael che serpeggia quieto come un alligatore nelle Glades della Florida in una torrida giornata di luglio. La ritmica è da Creedence Clearwater Revival (Hey tonight…) per un pezzo allucinato che ti si pianta nelle tempie. Blake sublime. Verso al fine Kummel stravolge tutti i canoni dello stile chitarristico. David Torn, Fripp e Gilmour fusi assieme con una chitarrina dalel sonorità rockabilly assolutamente improponibili in un disco jazz ortodosso. Piccolo solo di contrabbasso quale cameo a chiusura. Ripresa tema, fine. Dieci minuti di pura e sana allucinazione.

4) ‘Cuban Sandwich’ è un pezzo dal sapore e dalle scale mediorientali che somiglia nel retrogusto a Night in Tunisia, senza peraltro copiarne l’impianto melodico. Non è da poco. Un clarinetto basso costruisce un bordone attorno al piano acustico per questi strali incerti sopra una solida base ritmica calipseggiante per poi spiaggiarsi all’improvviso.

5) ‘Feast’ è la festa che continua sempre su una base ritmica ossessiva, rotta dagli arpeggi iniziali di chitarra. Si prosegue con esposizione del tema e poi con i soli stralunati e ‘spostati’ sia di sax che di chitarra: avete mai sentito una chitarra slide pizzicata più volte al secondo con autowah e phaser? Da acido lisergico nelle tempie. Consigliato l’ascolto a 400 watt rms per canale a palla.

6) ‘Languidity’ è un evidente richiamo alla tradizione più ortodossa ed al Charlie Mingus del periodo aureo: stesso respiro compositivo, stesso tempo ed incedere per un pezzo bellissimo ed appieno dentro la misura jazzistica tradizionale. Michael Blake mette la sua anima a nudo e ve la offre in maniera totale. Non ci sono segreti. Dialogo tra musicisti con lo strumento in mano. Come era solito fare Mingus con Charlie Parker: due finissimi intellettuali, malgrado ciò che viene contrabbandato per verità da alcuni a proposito di Parker (leggersi la biografia bellissima di Gianfranco Salvatore, riedita da poco in versione aggiornata). “Continuiamo il discorso con gli strumenti”. Esatto. Non è un caso che a seguire troviamo

7) ‘Meditation For A Pair Of Wirecutters’ di Mingus. Tradizionalissimo brano di ‘jazz di rottura’ (ossimoro qui appropriato, secondo l’umile writer!) anni sessanta, con un Blake in gran forma supportato dalla ritmica dei dannati danesi su cui varrà la pena spendere due righe. Michael vive a New York ed ha le sue collaborazioni. A volte però, quando ha voglia di spezzare e creare qualcosa di veramente diverso, viene in tour in Europa per incontrarli e suonarci assieme, o si fa raggiungere in Usa dai tre: Kresten Osgood, batterista animalesco magnetico dal drumming potente e micidiale; Soren Kjaergaard cugino di Kresten e pianista molto maturo e versatile malgrado la giovine età; Jonas Wastergaard, contrabbassista sodale dei due altri da sempre. Questi ragazzi per Michael hanno un effetto catalizzante e spiazzante: in genere egli porta i temi e comunica loro le sue intenzioni; loro assentono diligentemente e poi mentre suonano lo portano di fatto da qualche altra parte. Proprio come deve succedere nel jazz. Con respiro creativo collettivo e dai risultati imprevedibili.

8) ‘A Hole Is To Dig’ ci offre il lato più sereno di questa collaborazione. ‘Pace’ è forse il termine più adatto a questo brano positivo e micidiale per la vostra anima. Interplay ed atmosfera stupenda.

9) ‘Neil’s Toy Train’ è la chiusura del disco più adatta. E’ infatti una sorta di temino delicato, anche quest’ultimo quasi rubato-no-tempo che ti da la sensazione di una danza dell’abbandono.

Uno dei più bei dischi dell’ultimo decennio. Mia umile opinione. Consigliatissimo a chi dal jazz si aspetta di più e di meglio.

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