I miglior film di guerra, specie quelli sul Vietnam che tanto attanaglia i cineasti statunitensi, descrivono, di solito, il dramma di militari impegnati sul fronte, lontano da casa e dalle proprie certezze, tesi a combattere per la propria Patria, finché non si accorgono di combattere per il Nulla: indicativi, al riguardo, sia "Platoon" ('86) che il più recente "Jarhead" ('05), il quale traslando le vicende alla guerra in Iraq del '90 non tradisce comunque l'idea di fondo di questa filmografia. Il taglio simil giornalistico di questi film, affine per certi versi ai capolavori letterari fioriti in Europa intorno alle vicende della I e II guerra mondiale (Lussu, Rigoni Stern, Remarque) squarcia le retorica nascosta dietro le apparenti gesta degli eroi di guerra, illustrando - quasi in maniera pedagogia - l'inutilità del conflitto ed i costi che esso finisce per avere a carico della collettività, fiaccando intere generazioni (presenti, e future).

Altri film, come "Full Metal Jacket" ('87), mettono in luce le premesse della guerra e della violenza, i meccanismi attraverso i quali l'individuo viene privato della sua autonomia di pensiero ed azione fino a divenire, letteralmente, carne da macello per strategie militari decise dai vertici dell'Esercito; altri ancora, come il recente "Flags of our Fathers" ('06), accentuano specularmente le conseguenze della guerra nei soggetti che vi hanno preso parte, chiarendo come la retorica mistifichi, a posteriori, alcune singole, insignificanti, vicende, creando degli Eroi e dimenticando gli uomini ed i loro sentimenti.

"Il cacciatore"- "The Deer Hunter" ('78) si discosta dai menzionati modelli, utilizzando le vicende di guerra come occasione per riflettere sulla natura umana, sui legami affettivi fra individui e sulle vicende dei singoli individui. In questo, il film assume i toni del dramma universale che, per certi versi, possono riscontrarsi nel coevo "Apocalipse Now" ('79), pur con le dovute e notevoli differenze riscontabili fra i lavori di Cimino e Coppola.

Il film di Cimino narra, come noto, la storia di tre amici, appartenenti alla working class della grande Provincia americana, descrivendo in maniera minuziosa la loro vita, quella dei loro amici e familiari, della minoranza di origine ucraina alla quale appartengono, oltre che la loro passione per la caccia al cervo nei monti Appalacchi. Vite che scorrono normali, quasi noiose e senza possibilità di riscatto, destinate a culminare in estenuanti duelli con i cervi di montagna, nella solitudine e nel silenzio della natura. Vite che, nella seconda parte del film, sono scosse dalla improvvisa chiamata in guerra dei tre amici, destinati a partire per il Vietnam al pari di molti altri giovani della loro generazione. La guerra, che vedrà i tre ancora una volta vicini, li metterà a contatto con l'inusitata crudeltà dei vietcong, con la più dura prigionia, fino ad una faticosa liberazione, preludio ad un ritorno a casa ed alla normalità.

Normalità che, tuttavia, risulta solo sperata: uno dei tre (l'ottimo John Savage), a causa delle ferite riportate in guerra, rimarrà per sempre paralizzato, segnato nel fisico e nell'anima; un altro (Christopher Walken all'apice della propria carriera) addirittura rimarrà in Vietnam, segnato per sempre dalla guerra nella propria psiche, fino a diventare un campione di quella stessa roulette russa a cui i vietcong lo obbligavano a partecipare durante la prigionia. Solo il terzo (interpretato da Robert De Niro) sembra aver retto all'urto della guerra, rivelandosi il più forte e lucido del gruppo, pur portando in sé il rimpianto dell'amico rimasto in Vietnam, fino a tornare vanamente nei luoghi di guerra per riprenderlo e portarlo a casa, in una diversa e nuova caccia all'uomo, che qui prende amaramente il posto della caccia al cervo.

E' ambiguo, il titolo del film in italiano, quasi a suggerire la duplicità della caccia di De Niro. Nella prima parte del film, l'uomo caccia nel senso più tradizionale del termine, estendendo il suo dominio e potere sulla natura, ed affermando se stesso come capo branco, come più abile fra gli uomini del suo gruppo/tribù. Nella seconda parte del film, l'uomo, devastato dalla guerra e dalla cognizione del dolore, fisico e morale, cerca di ristabilire l'ordine violato nel ristabilire i preesistenti legami sociali, ormai slabbrati e compromessi: la caccia di De Niro a Christopher Walken, quasi la "caccia" del buon pastore alla pecorella smarrita, nella sua spasmodica esigenza di ricostruire gli affetti perduti, l'integrità del gruppo e le stesse gerarchie preesistenti al suo interno, acquista una dimensione non più fisica ed oggettiva, ma esistenziale ed interiore, portando tuttavia alla sconfitta del cacciatore.

Se, infatti, nella caccia naturale vince chi uccide la propria preda, nella caccia spirituale del nostro la morte del cacciato rappresenta la sconfitta ultima inflitta dalla guerra agli uomini, l'impossibilità di ristabilire l'ordine e l'armonia violata dal dolore. In questo non sembri improprio un paragone fra il nostòs di De Niro e compagni con il ritorno a casa di Ulisse ne "L'Odissea", o di Sam Gamgee ne "Il signore degli anelli", posto che in tutti i casi richiamati il ritorno non può più significare "nuovo inizio", eliminando retroattivamente quanto visto o subito in guerra, ma ritiro nel luogo domestico, come ultimo ambito nel quale (tentare di) nascondersi dalle violenze e dall'orrore.

Sotto il profilo prettamente tecnico, "Il cacciatore" risulta ben scritto e girato, giovandosi delle eccellenti prove dei tre protagonisti a di attori comprimari, come un giovane Meryl Streep e del caratterista coppoliano John Cazale.

Interessanti le locations e la fotografia: lo squallore della provincia americana (credo Pennsylvania), fra fumi industriali, interni disadorni, scene matrimoniali e bar frequentati da annoiati avventori ha un tocco quasi neorealistico, a mio parere affine alla poetica di un Cassavetes; le scene di caccia al cervo sono emozionanti, e già suggeriscono il tormento interiore di De Niro, preconizzando la diversa caccia che si vedrà nella seconda parte del film. La parte ambientata in Vietnam è più convulsa, carica di tensione ed angosciosa, simboleggiando l'esplosione di violenza già implicita nella prima parte del lungometraggio, ed affine, sul piano prettamente tecnico, a tanti film di genere.

Film torrenziale e prolisso, "Il cacciatore" presenta forse qualche lungaggine e caduta di tensione, spesso enfatizzate da chi ritiene di essere di fronte al classico film di guerra, dove l'azione prevale sulla riflessione. Se, tuttavia, si riconosce che la guerra rappresentata da Cimino è solo il pretesto per una riflessione sull'Uomo, anche questi limiti possono essere ridimensionati, conferendo al film il valore che merita.

Da cinque stelle, senza dubbio alcuno.

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