A volte l'unico commento sensato è il silenzio. E sarebbe quello che si merita questo film, se non fosse che arriva dopo due lavori che in qualche modo avevano alimentato la speranza in un cinema su mostri e creature gigantesche, però moderato, di regia, dosato, in qualche modo.

Evidentemente hanno deciso di buttare tutto in vacca, e un po' dispiace. Rivendico il diritto di guardare Godzilla, King Kong e i loro fratellini che sputano fuoco senza dover sentire il mio cervello bestemmiare per le porcate di cui vengono puntualmente farcite sceneggiature e dialoghi. Come dice mamma: “Un bel tacer non fu mai scritto”. Il cinema di puro spettacolo, anche cafone, ha diritto di esistere. Ma non a questo prezzo.

Addirittura il Godzilla del 2014, firmato Gareth Edwards (quello di Rogue One), si permetteva di interrompere i duelli tra bestioni perché in quel momento la vista degli uomini veniva interrotta da qualche ostacolo, oppure filtrava la visione attraverso immagini televisive, finestre di treni, rotaie. I mostri apparivano e scomparivano da dietro il portone, dai buchi nelle assi della ferrovia. Spuntavano lentamente dalla foschia, dal mare o da tane profonde. Là le azioni dell'uomo erano velleitarie, come formichine che camminano sul dorso della bestia, che le ignora.

Anche Kong: Skull Island aveva una sua pregevolezza, pur allentando il dettato “teorico” e concentrandosi sull'avventura. Ma era un'avventura succosa, alla Jurassic Park, piena di dettagli e scene di vero cinema. Due film che hanno incassato mezzo miliardo ciascuno: evidentemente non abbastanza.

Questo nuovo capitolo ne ha incassati 177 in meno di una settimana e non è detto che la semplificazione e banalizzazione estrema porterà grandi vantaggi di botteghino. Una storia molto telefonata e brutta, ma che non di meno ha bisogno (secondo gli sceneggiatori) di molteplici spiegoni da parte dei personaggi, sul cui lato umano preferirei tacere. Un pasticcio pieno di argomenti presi di peso da grandi capolavori del cinema sul tema scontro natura-uomo, natura buona e natura cattiva, uomo buono e uomo cattivo: una parafrasi di uno studente asino che ripropone male la lezione.

La pochezza concettuale è subito evidente: se nel film di Edwards l'uomo era impotente perché i mostri spegnevano la tecnologia, qui ha addirittura i mezzi per “comandare” i giganti. Che sono vintage, e questo è comprensibile, ma cozzano con un mondo ipertecnologico e sono calati malamente negli scenari. Il drago sembra preso da una raffigurazione fantasy datata. Bella invece la farfallona luminescente. Le battaglie ciclopiche sono anche decenti a livello tecnico, e sarebbe stato assurdo il contrario: quei 170 milioni di dollari di budget sicuramente non li hanno spesi per gli sceneggiatori (e nemmeno per gli attori, visto che è protagonista il resistibile Kyle Chandler, mentre Millie Bobby Brown fa la ragazzina ribelle, ma non fatemi parlare di quella famiglia disastrosa). A livello concettuale, anche la figura di Godzilla viene banalizzata: non più guardiano severo e truce del mondo, ma quasi paladino in calzamaglia.

Alla fine diventa una zuffa non tanto diversa da quelle della Marvel (ma molto meno bella, rissa con le clave vs duello in punta di fioretto, o giù di lì). E basta guardare il box office internazionale per capire il problema: Avengers è primo nel 2019 con 2,7 miliardi, Captain Marvel secondo con 1,1. Le regole le dettano loro, e come già visto con la saga Dc Comics, gli altri fautori del cinema di intrattenimento “grosso” devono pompare le loro creature, per farle competere. Il fatto è che spesso gli steroidi gli vanno di traverso.

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