Come ogni tragedia o dramma che si rispetti, la situazione iniziale è quella della più statica normalità. Georges Laurent vive nel benessere. Giornalista di successo, ha una bella e colta moglie, Anne, e un figlio dodicenne, Pierrot, ben inserito nell'alta società parigina. Come ogni tragedia o dramma che si rispetti, accade qualcosa che incrina l'idillio. Georges inizia a ricevere delle videocassette che ritraggono lui e la sua famiglia all'interno della loro stessa abitazione. Chi è l'autore di quelle riprese? Qual è il suo scopo? Perché vuole punire Georges privandolo della sua intimità? Georges è costretto dalle circostanze a scavare nei ricordi per cercare un nemico, ma non un nemico qualsiasi. Prova a ricordare a chi possa aver mai fatto tanto male da infliggergli quella pena. Le ricerche lo portano alla casa paterna, precisamente nel periodo dell'infanzia, quando insieme a lui e ai suoi genitori viveva un bambino algerino, figlio dei domestici, adottato dai Laurent dopo la scomparsa dei suoi genitori, massacrati dalle forze dell'ordine parigine durante una manifestazione. Georges ricorda di aver fatto di tutto per cacciarlo di casa, per non dover condividere con un estraneo la sua camera e i suoi giochi. Ricorda anche di esserci riuscito.

Nel 2007 Michael Haneke firma questa pellicola che presenta la stessa impietosa ferocia dei suoi lavori ma con delle notevoli differenze. Archiviata la malvagità esplicita di "Funny games" e le rumorosa crudeltà del bellissimo "La pianista", il regista austriaco punta sulla tensione psicologica generata dalla violazione subdola della dimensione privata. Come già visto in "Strade perdute" di David Lynch, il protagonista vive l'incubo di un intruso, di uno sconosciuto che lo spia costantemente. Se però il cineasta statunitense aveva come scopo una lunga e allucinata digressione sulla duplice identità dell'assassino, Haneke vuole proporre una problematica ben più radicata alla società moderna e al malessere occidentale. E' una grande metafora politica: Mijad, l'algerino adottato per pochi mesi dai Laurent e tradito da Georges, rappresenta l'oriente povero ma ricco di valori e principi che riceve la meschina beneficenza da parte dell'opulento e malato occidente (Georges e al sua famiglia) per poi essere dimenticato. Il tema viene affrontato con una crudezza raffinata e verosimile, senza trascinare in ballo la necessità di sanguinose o volgari iperboli, ma soprattutto Haneke evita di compromettere il risultato della sua analisi e di assumere un atteggiamento da magister vitae non lanciando soluzioni uniche e lasciando quindi un finale sospeso.

E' chiaro che, per quanto riguarda la costruzione dei personaggi, Haneke abbia letto e riletto Schnitzler (Tanto per intenderci, l'auotre di "Doppio sogni", dal quale Kubrick trasse "Eyes wide shut"). Lo scrittore, connazionale del regista, espresse in molte sue opere il principale demone della società occidentale: la paranoia. Così come il celeberrimo dottor Fridolin non riesce a capacitarsi all'idea che sua moglie l'abbia tradito e cerca in tutti i modi un riscatto a quella che percepisce come una castrante inferiorità, allo stesso modo Georges non vuole credere all'innocenza di Mijad, che più volte gli ripete di non avere nulla a che fare con le videocassette. Quando il figlio della coppia scompare, immediatamente Georges conduce la polizia nel lurido appartamento dell'algerino, per poi scoprire che il ragazzo aveva volontariamente passato la notte fuori (Da non sottovalutare il personaggio di Pierrot. Anche lui, come il padre da bambino, ricerca un'esclusività negli affetti quasi morbosa che lo porta a scappare di casa e a giustificarsi accusando la madre di adulterio con un amico, e quindi di privarlo d'attenzioni) . Quando Mijad convoca Georges a casa sua e gli ribadisce la sua estraneità ai fatti per poi tagliarsi la gola (Una delle scene di maggior effetto, sottolineate dalla frase di Mijad "Volevo che ci fossi" poco prima di uccidersi), l'uomo crede che quello fosse solo un ultimo tentativo da parte dell'algerino di incastrarlo. A dare vita a questi personaggi ci pensano Daniel Auteil, in stato di grazia, Juliette Binoche che, nonostante stia dando prove di grande professionalità, non riesce a scrollarsi di dosso la fama che le deriva esclusivamente da quella fastidiosa cioccolataia zingara, e una rediviva Annie Girnadot nel ruolo della madre di Georges.

Non voglio neppure dilungarmi sulla stupida traduzione italiana del titolo (Che, come si ha modo di notare, dice l'esatto contrario di quello originale). In conclusione, quindi,  "Niente da nascondere" perde punti nello strenuo e fallimentare tentativo di Haneke di mescolare giallo, thriller e dramma. Ma a questo aspetto faccio solo cenno, perché il film merita lo stesso...

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