Breve la vita di Michael Reeves, regista inglese scomparso a 26 anni per una dose eccessiva di barbiturici, proprio all'inizio di una carriera promettente.
Nato il 17 ottobre 1946, a Sutton nel Surrey, e morto a Londra l'11 febbraio 1969, Reeves sembrava a tutti gli effetti un regista dedicato alle pellicole horror, nello stile della Hammer.
Si fece notare come collaboratore di Lorenzo Ricci nella pellicola "Il castello dei morti vivi" (1964) ma la sua prima regia fu il malriuscito "Il lago di Satana", nel 1966, realizzato sempre in Italia e con Barbara Steele come protagonista. Seguirono "The Sorcerer" con Boris Karloff (1967) e soprattutto "Il grande inquisitore" del '68. Poi la morte.
Con questa sua ultima pellicola Reeves lascia presagire un destino di grandezza; all'età in cui Orson Welles esordì, Reeves termina la sua carriera con una pellicola che, sotto le spoglie di una classica confezione Hammer, propone un film che sembra un horror ma in realtà è un racconto storico.
Matthew Hopkins (Vincent Price) è il Grande Inquisitore, dedito alla caccia delle streghe nell'Inghilterra del ‘600, durante la guerra civile che divideva i realisti dai papisti di Cromwell. La sua missione è in realtà una copertura per scatenare i suoi istinti sadici ed erotici. Oltre a godere delle sofferenze inflitte agli innocenti inquisiti, approfitta del suo potere per accoppiarsi con presunte streghe giovani o con parenti delle vittime, promettendo clemenza in cambio di questi favori particolari.
Ad accompagnarlo è il sodale John Stearne, (Robert Russell), violento e volgare criminale col quale Hopkins divide guadagni e sfrenatezze. Un giorno i due criminali si recano in un villaggio dove alcuni contadini dicono di aver riconosciuto nel prete del villaggio un adepto di Satana. In realtà il sacerdote è totalmente onesto e innocente ma ciò non frena le depravazioni dell'Inquisitore; torturatolo e fattolo incarcerare, in attesa dell'impiccagione, approfitta delle grazie della figlia Sarah (Hillary Heat), promettendole un trattamento speciale per lo sventurato padre. Hopkins farà poi impiccare il prete per ripicca verso Stearne; questi aveva abusato di lei e Hopkins rompe il patto con Sarah per dispetto al compare,Il pastore verrà giustiziato con altre due donne dopo una "incontrovertibile" prova: lanciati con una corda da un ponte saranno riconosciuti come satanisti se cercheranno di nuotare.
La figlia Sarah, fidanzata con un valoroso alfiere dell'esercito cromwelliano, Richard Marshall (Ian Ogilvy), quando verrà trovata da quest'ultimo, sola e terrorizzata nella canonica, racconterà tutto al suo promesso che giurerà vendetta nei confronti del crudele Hopkins e del suo scherano.... Il film prosegue con la disperata caccia all' uomo dell'alfiere fino alla tragica conclusione. Né la promozione a capitano, né la fiducia di Cromwell verso Marshall indurranno quest'ultimo a deviare il corso della sua vendetta.
Sebbene a mio parere un po' sopravvalutato, "Il grande inquisitore" è un film affascinante e particolare. Pur muovendosi su registri classici di regia e recitazione (sublime, da recuperare la versione in lingua originale), il film di Reeves reca sottotraccia una tonalità violenta che si percepisce ad ogni inquadratura, scandagliando il mondo contadino ricco di superstizioni e (sottotono) la guerra civile inglese; timbro registico che, all'epoca, era davvero inusitato. Price è grandioso e conferisce a Hopkins il perfetto mix di ipocrisia e crudeltà, di "stregonesca" capacità di coercizione psicologica delle vittime, sempre trattenuto da una recitazione controllata ed efficace per contrasto. Stearne è il suo esatto alter ego, beone, manesco, crudele e compiaciuto della sua sanguinarietà. Ma l'arma più efficace del film sta nel riuscire a trasformare i "buoni" in belve assetate di vendetta. Su tutte valga la scena finale (che non rivelo, ovviamente) e che si chiude col volto di Sarah che urla disperata, fermato durante lo scorrere dei titoli di coda e commentato da un melanconico madrigale di Paul Ferris. Nella versione per il mercato americano la musica di Ferris non venne utilizzata in quanto la Metro si rifiutò di pagare le royalties al musicista.
Il tutto immerso nella campagna inglese, raramente così ben fotografata (uno dei punti forti della pellicola).
Questo film dello sfortunato Michael Reeves fu fonte d'ispirazione per il meno convincente "I diavoli" di Ken Russell, più esagitato ma meno efficace del "Grande inquisitore".
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