Come fa un musicista a farti capire quello che ha imparato in anni di militanza e che cosa ha in mente ora? Ti fa un disco come questo, pieno di standards stravolti ed allucinati, senza un attimo di riposo, né una qualche soluzione di continuità tra il tema, l’elaborazione e l’estro del momento. Sul filo del rasoio: non c’è un secondo di pace in questo disco, un grosso flusso di note e di pianismo allucinato ma comunque chiarissimo ed entro i canoni delle “orecchie comuni”: non perdi una nota di quello che egli “dice”. Molto alla Mc Coy Tyner ma, se possibile, con ancor maggiori influenze centroamericane e latine, che partono dalla storia personale di Camilo, dapprima percussionista nell’orchestra Dominicana dove era impiegato e buttato sul pianoforte una sera all’improvviso in mancanza del titolare e da allora mai più sceso da uno sgabello che lo ha visto protagonista assoluto della scena internazionale e ormai figura di riferimento. Scintillante, rutilante, positivo e solare sono gli aggettivi che meglio gli si addicono. Volete meditare? Siete tristanzuoli? Sentitevi Mehldau, Geoff Keezer o Bill Evans. Volete un’ora di assoluto e rapidissimo trip mozzafiato, suonato con mani sinistra e destra roventi, accompagnate da musicisti ritmici di assoluto pari livello?? Ed una proposta musicale comunque molto varia e validissima? Comperatevi questo disco, allora. Il titolo è “Thru My Eyes” che sarebbe più o meno dal mio punto di vista, ma l’opinione di Patitucci/Lincoln Goines/Anthony Jackson (basso) e Cliff Almond/Horacio Hernandez (percussioni) sembra decisamente qui contare altrettanto e tirare dalla parte ritmica in maniera preponderante.
1) “Poinciana” viene reso in souplesse ed il ritmo è molto sciolto. Comincia quasi come una stupida musica da sottofondo allo shopping per crescere gradualmente di livello e contenuto al punto di farti capire subito che Camilo è ENORME.
2) “Perdido” viene elaborata a scapicollo, in un tempo medio, con molto swing e senso del controllo. Ci si comincia a lasciar andare in maniera preoccupante.
3) “Watermelon Man” è bella, trascinante e godibile. Molto senso della melodia e dell’improvvisazione-dialogo.
4) “A night in Tunisia”, che è un brano sempre molto difficile da rendere appieno, viene suonato latin per la prima parte, inclusa la B della tipica forma AABA. Quando parte lo swing il gruppo buca le pareti e ti ritrovi a volare, se non stai attento!
5) “Song For My Father” Questa esecuzione è tra le più belle in assoluto mai ascoltate. Concentrazione interpretativa e scelta di frasi bellissime le rendono appieno il dovuto rispetto
6) “Armando’s Rhumba” il pezzo di Corea scelto per l’omaggio all’amico (Armando “Chick” Corea) non è dei più semplici da suonare e seguire, purtuttavia Michael riesce a fartelo sembrare agile e scattante. La capacità di sciolto fraseggio e di semplificazione di percorsi musicali contorti di Michael Camilo è sorprendente.
7) “St. Thomas”, il noto standard, ti prende e ti trascina al centro della stanza per ballare: le radici di entertainer di Camilo sono evidenti almeno quanto le esigenzo di ritmo caliente dei centroamericani. Assolo di drums al fulmicotone in incastro di ritmi perfetti. Un carillon eccitato di suoni.
8) “Oye Como Va” di Tito Puente è qui quasi irriconoscibile, stravolta e dilatata nell’interpretazione. Tema quasi solo “citato”, in un dialogo serrato e rarefatto ma energico tra le percussioni il basso ed il piano. Svolto in modale per la magggior parte. Sorprendente.
9) “Afro Blue” è una traccia più pensata, che si sviluppa in maniera imprevedibile e ti lascia un segno sul cuore. Richiami africani e swing si mescolano sapientemente in un brano assolutamente insolito. Percussionista nell’animo e nelle dita.
10) “Mambo Inn” E’ ancora pura energia, restituitaci con l’esecuzione del noto mambo (G. Benson e mille altri) aperto da accordi di arrangiamento leggermente dissonanti che ti restituiscono un senso di inquietudine, acuito da scale impossibili eseguite all’unisono col contrabbasso. Da manuale su come si possa arrangiare un vecchio brano ex novo per renderlo freschissimo e gustoso.
11) “My Little Suede Shoes” continua ad esercitare il ruolo di semplice brano-break. Però qui viene quasi preso a mero pretesto, poi pian piano aperto e sminuzzato in qualcosa di nobile assai. Sentire per credere, magia del jazz. E di un pianista come Michael Camilo.
12) “Manteca” e siamo in pieno Centro America: le doti di improvvisatore e catalizzatore di Camilo continuano ad essere evidenti; si sentono chiaramente gli anni di militanza danzereccia. Atmsfera resa anche senza trombe e fiati sparati. Grande intelligenza musicale.
Stupendo disco, eseguito magistralmente, coralmente, con grande partecipazione ed emozione; tecnica superba e cuore!
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