Portal o dell’eclettismo.
Ci sono molti modi di solcare gli sconfinati territori del jazz, declinando, lungo un proprio personale percorso, un verbo impresso nel dna di migliaia di musicisti da un secolo di storia. Un percorso che snodandosi rivela, come in una vista dall’alto, tutte le ramificazioni e le connessioni che lo attraversano.
L’unica pagina dedicata al clarinettista francese su DeBaser è riferita alla sua esecuzione dei Clarinet Quartet di Mozart, a testimonianza dell’ampio spettro di musiche con le quali Portal si è misurato, spesso con risultati di eccellenza. Dall’improvvisazione alla classica, dalla rivisitazione di temi cinematografici alle innumerevoli collaborazioni (una tra tante quella con Galliano, per quel “Blow Up” che, riascoltato recentemente, consiglio senza indugio) il percorso di Portal è tra i più interessanti del jazz europeo.
E planando sul reticolo di esperienze e produzioni che caratterizzano la figura di questo musicista francese, di formazione classica e di inclinazione eclettica, il mio sguardo si concentra su un episodio singolare e rivelatore: un disco uscito nel 2001 che sto riascoltando ora, gustandone per l’ennesima volta la poliedrica natura.

Un francese in America.

Minneapolis, nel nord americano dei grandi laghi, è la città alla quale il francese dedica un esperimento inatteso e riuscitissimo. Fondere la propria ricchezza tecnica e di ispirazione alla calda fisicità di una sezione ritmica rubata al piccolo principe della black music: Sonny Thompson (Basso) e Michael Bland (batteria) provengono infatti dalla corte di Prince. Al nero cuore pulsante venato di funky dei due si affianca un pianista bianco, avvezzo a cambiare contesti, da Jeff Beck alla London Symphony, passando per Sam Rivers: Tony Hymas.
A completare il variegato drappello un nome che molti ricorderanno per l’avventura Living Color: il chitarrista Vernon Reid, anch’egli non nuovo ad impreviste collaborazioni.

Paesaggi mutevoli.
L’inizio del viaggio americano del musicista francese sembra voler indicare una traiettoria che assecondi l’anima nera del quintetto: una introduzione nervosa e energica che sfocia in un secondo brano funkoso sul quale si dispiega la performance rap del bassista.
E’ davvero un disco di Portal, questo? Oh si che lo è!
Ed il terzo pezzo lo dichiara apertamente: velluto soffice nel fraseggio del francese, su tappeto atmosferico delle tastiere di Hymas e misurati interventi del drumming.
Da qui in poi è una festa per i timpani.
Improvvisazione e melodia convivono generate da suoni di una sorprendente vitalità: nervosi ed esuberanti negli intricati intrecci ritmici e nell’interplay sempre funzionale e concreto, lirici ed evocativi negli episodi più “rilassati”, come la rilettura, moderna e delicata, di “Good Bye Pork Pie Hat”, il tributo di Mingus allo scomparso Lester Young.

Cinque anni dopo.
Non scopro, mentre lo riascolto, attimi di flessione, episodi segnati da prevedibilità o “stanchezza” creativa. Al contrario: dettagli e piccoli bagliori rilucono ancor più nitidamente confermando il piacere che ricavai dai primi ascolti.
Posso sottolineare ulteriormente, però, l’assoluta simbiosi tra gli elementi e le qualità messe in campo da ognuno dei musicisti.
Il mio gusto personale vira verso il suono meraviglioso del clarinetto basso di Portal e, ad esempio, lo splendido omaggio che egli dedica a Judy Garland. Ma ottime sono anche le prestazioni al sax (soprano e alto) ed al bandoneon.
Ma va riconosciuta anche l’estrema funzionalità dei rari interventi della chitarra di Reid, così come l’efficace e multiforme apporto delle tastiere di Hymas, un nome che credo valga la pena seguire con attenzione.
La sezione ritmica, egregia in ogni episodio, diviene a tratti una forza propulsiva dalle sembianze quasi espressioniste, sempre assecondando lo spirito che attraversa i 14 brani, tutti originali e firmati dalla penna del francese, da Hymas o in collaborazione con i vari componenti.
Che altro dire?
Che ripescare questo disco e segnalarlo alla vostra attenzione mi è parso, riascoltandolo, quasi un dovere.
Ho attinto (e continuo a farlo) con estremo piacere dalle decine di ottime pagine dedicate al jazz su DeBaser, scoprendo e riscoprendo gioielli che sfidano il tempo, uscendone sempre vittoriosi.
Ecco, credo che “Minneapolis” di Portal, continuerà a suonare fresco, ispirato e vitale anche tra dieci anni. Vi invito ad assaggiarlo, sperando che non vi deluderà.
Buon ascolto.

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