La notte, è un ritratto amaro e dolente dell’Italia all’inizio degli anni 60.

Il soggetto e la sceneggiatura sono di Michelangelo Antonioni, di Ennio Flaiano e Tonino Guerra.

Dalle note di Wikipedia: La pellicola ottenne l'Orso d'oro al Festival di Berlino, Nastro d'argento e David di Donatello per la regia e miglior film.

Capitolo centrale della cosiddetta "trilogia esistenziale" o "dell'incomunicabilità", segue “L'avventura” e precede “L'eclisse”.

Il film è del 1961, siamo nel pieno del boom economico, Antonioni pone la sua lente di ingrandimento su uno spaccato di Italia in particolare: l’alta borghesia, gli intellettuali, i capitani d’industria. Siamo a Milano.

Veniamo guidati in questo mondo da un giovane scrittore, Guido Pontano (Marcello Mastroianni) che col suo ultimo libro si afferma definitivamente “nel giro che conta” e da sua moglie Lidia Pontano (Jeanne Moureau).

Prima di un lungo prologo introduttivo (la magnifica sequenza della visita in clinica all’amico morente, Lidia che vaga per la città, loro due al tabarin dopo cena) faremo un lungo giro di notte nel giro che conta (i soldi e nulla più) nella lussuosa villa in Brianza dei Gherardini, titolare di una grande e storica azienda.

Il film entusiasmò la critica ma non il pubblico, venne elogiato da Pasolini che rilevò analogie col romanzo “La noia” di Moravia, e dallo stesso Moravia.

Un film atipico, innovativo nel linguaggio e nel taglio registico, apri-pista di una generazione di autori a venire, fonte di ispirazione per la Nouvelle-Vague o per grandi cineasti futuri quali Wong Kar-wai ad esempio.

Amaro e dolente si diceva. Incerto, sospeso, a tratti bergmaniano per la capacità di mettere a nudo l’animo umano grazie alla fissità delle immagini, all’assenza di una colonna sonora, alla vacuità dei dialoghi.

Ad un attento esame superficiale (cit.) il film potrebbe annoiare non poco, ma se si riesce a seguirlo in un certo qual modo “immobili” sospendendo il giudizio, ammantati ordunque da sana capiscioneria, ecco che si rivela in tutta la sua potenza, nell’immane portata del messaggio. Un muto “grido” di dolore che squarcia l’anima mettendo a nudo le anime perdute nell’incomunicabilità già snasata e denunciata da due di passaggio: Svevo e Pirandello. 50 anni dopo di loro, Antonioni sente ancora l’urgenza di smascherare l’inganno, di mettere il dito nella piaga sebbene ormai infetta e purulenta. Oggi pare che invece tutto sia risolto, basta dire empatia e resilienza...

La crisi di coppia dei Pontano è figlia di questo inganno. Un amore costruito su tali basi è falso di per sé e potrà andare avanti solo col compromesso, facendo finta di niente, voltandosi dall’altra parte. Ma i Pontano non ci riusciranno e si perderanno nel limbo dell’ignavia senza ritrovar l’uscita, senza riveder le stelle.

L’unica ad aver già “capito tutto” nonostante la giovane età, è la figlia dei Gherardini, Valentina (Monica Vitti) che si corazza nel “suo mondo”. Un mondo leggero e frivolo ma che non vola così in alto dal non vedere il baratro, dal non esserne irrimediabilmente risucchiata. “stasera sono troppo triste, mi son distratta giusto un attimo mentre giocavamo, hai una sigaretta?

Marcello fa il Mastroianni come al solito. Bello, elegante e raffinato. Misurato, colto e pacato, affascinante, magnetico. Eppure spento, irrisolto, perso, semi-cieco ma ancora tiene botta o così vorrebbe perlomeno. Un’interpretazione “per sottrazione” come si suol dire… “fai meno” e lui il meno lo fa bene.

La moglie invece non ce la fa. Ha perso la maschera, le è caduta nel fango dell’ipocrisia e non vuole indossarla più… ma senza la maschera del suo essere alto-borghese e della vacuità è irrimediabilmente perduta ed afflitta. Splendida in tal senso, l’interpretazione di Jeanne Moureau.

Un film ammaliante e raffinato come pochi e che snocciola con non-chalance i suoi je accuse sotto forma di aforismi. Frasi buttate qua e là dallo stesso Pontano o dal Gherardini, dalla moglie del Gherardini o da qualche ospite loquace, nel loro “parlar leggero” di un mondo in-sincero. Una sorta di “grillo parlante” che vorrebbe essere minaccioso ma che è invece flebile, chi lo ascolta più… Invece sarebbero da catalogare e mandare a memoria, sono pezzi di scrittura (l’avete visto sopra chi lo ha scritto questo film, no?) da spellarsi le mani in un applauso ininterrotto di 15 minuti.

I “villeggianti” avranno due minuti di gloria solo nella sequenza della pioggia che cadrà copiosa nel pieno della notte. Una pioggia purificatrice che risveglierà le loro anime belluine, un tuffo in piscina vestiti “guardate quella che fa!” appena un assaggio al mito del buon selvaggio, di più non è concesso “non si getti anche lei in acqua, venga via non faccia stupidaggini…”.

CAPOLAVORO.

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