Andiamoci piano, perchè qui si parla di uno dei "maestri" del cinema italiano: nientepopò che Michelangelo Antonioni.
L'Avventura (1960) è il primo di quattro film ispirati al tema dell'incomunicabilità. I restanti 3 sono La Notte, L'Eclisse e Il Deserto Rosso. In tutti è Monica Vitti a ricoprire il ruolo di protagonista. Sono parti difficili. Il cinema di Antonioni in questi quattro film è cervellotico e indugiante, i ritmi sono distesi. Distesi come cadaveri in putrefazione. Ma andiamo con calma.

Il film ricevette il plauso della giuria al Festival di Cannes del '60, per il tentativo di sviluppare un nuovo linguaggio cinematografico e per la bellezza delle immagini.

TRAMA: una comitiva di amici si dirige in barca sulle isole Eolie. Anna, annoiata cronica e stanca della sua relazione con Sandro, finge di essere stata attaccata da un pescecane. Il panico si diffonde sulla barca e gli amici decidono di fermarsi su un isolotto. Sandro e Anna hanno una discussione, e questi si addormenta. Dopodichè dopo un paio di stacchi di ripresa Lei scompare. Tutti iniziano a cercare Anna. "Anna! Anna!", ma Anna non si trova. Questo episodio trasformerà Anna nella più celebre (s)comparsa della storia del cinema. Sandro (Gabriele Ferzetti) ha intanto buttato gli occhi su Claudia (Monica Vitti) che nel frattempo ha cominciato a struggersi di dolore e sensi di colpa per l'amica scomparsa. Vengono chiamati gli sbirri ma di Anna non c'è traccia. L'Avventura continua a questo punto in treno e poi in un paesetto della Sicilia tra sguardi selvatici, campane, piazzette deserte, titubanze, proposte di matrimonio, tresche tra l'amica stupida e un pittore proto-maudit diciassettenne borghese (ma sono tutti borghesi), paranoie e sensi di colpa a non finire. E tempi morti, giù, fino all'orrendo finale.

Cara è al Maestro la tematica dell'annoiamento del borghese e della sua medietà, grazie alla quale tenta un discorso di amplissimo respiro sulla condizione penosa dell'uomo moderno, costretto alla fissità di scarpe e giacchetta nonostante sogni e aspirazioni. L'intento è certamente lodevole. Anche Il Deserto Rosso e L'Eclisse giocano lo stesso gioco, con un discorso (ma sarebbe meglio chiamarlo più un "muto") basato essenzialmente, da un punto di vista attoriale, sulle paranoie espressive della Vitti (L'Eclisse) e sulle numerosissime inquadrature della stessa intenta a fissare muri e antenne con sottofondi musicali acido-claustredelici (Il Deserto Rosso). Soprattutto in quest'ultimo film si ha la netta sensazione che il personaggio della Vitti abbia ingerito (chissà se per davvero) qualcosa come un quaranta acidi. Tuttavia mentre Il Deserto Rosso arriva presto a stancare per il suo formalismo esasperante e per la totale assenza di dialoghi sensati (lei parla continuamente di titubanze, di non sapere cosa fare, e scappa in continuazione scuotendo la testa disperata), L'Eclisse gioca molto meglio le sue carte. L'alternato oggettivo tra lo svilupparsi difficile del rapporto tra Lui (Alain Delon) e Lei in una città definitivamente vuota e architettonica, e la lunga sequenza di Lui impiegato alla Borsa di Milano mi rappresenta bene l'effimerità, l'indeterminatezza e la tragicità dei rapporti umani costruiti su fondamenta fredde e impersonali.

Tornando a noi, L'Avventura è stato consegnato dall'unanimità critica alla storia come un film importantissimo e complesso, che ha segnato (per il suo intrinseco valore artistico e culturale) l'inizio di un cinema "antispettacolare" che avrà un forte sviluppo negli anni seguenti, proprio per il suo essere il punto di partenza di un processo di nuova "significazione" filmica verso un superamento dei canoni spettacolari consueti. Nella sostanza dei fatti però, L'Avventura è un film maledettamente noioso, arrancante, a tratti immotivato, che in parecchi punti sfocia con "cioia" nei territori dell'autopunizione. Lo spettatore arriva stanco alla fine del primo tempo e praticamente in fin di vita al finale.
Ma ci arriva, anche soltanto per vedere come diavolo finisce una storia che si regge totalmente su un senso di frustrazione diffuso e contagioso fino alle midolla dell'interesse.

Riporto qui in calce, per concludere, un commento trovato in rete scritto da un tizio che ha visto questo film cogliendone tutti i nodi cruciali.

"Uno dei film più noiosi di sempre. La presunta arte di Antonioni si dispiega in tutta la sua uggiosa potenza: dialoghi agghiaccianti, lentezza esasperante, ambizioni metafisiche. Monica Vitti mai così gracchiante e fastidiosa. In effetti se si tolgono i personaggi restano degli interessanti paesaggi. E i personaggi sono talmente stereotipati da non saperli distinguere dal paesaggio - a parte per il fatto che parlano. I borghesi di Antonioni non sanno quello che vogliono e non lo vogliono nemmeno. Quasi una speranza vederli dispersi e bloccati (per sempre?) a centinaia di chilometri da noi. "

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