L’ultimo libro di Michele Mari è un po’ il suo La coscienza di Zeno. Con i dovuti aggiustamenti, non marginali, ma in fondoLeggenda privata è una seduta di psicanalisi, uno scavare internamente e nel passato, a fondo, per arrivare alle scaturigini delle nevrosi di Michele Mari. Il sondaggio interiore e familiare è talmente approfondito che, ripensando agli altri libri dell’autore, sembra quasi di non aver mai saputo nulla su di lui e sulla sua vita. E questo è paradossale, dato che la sua vita è sempre stata tra le protagoniste dei suoi libri.

Mari qui va a pescare in un serbatoio di materia biografico-letteraria quasi sempre dolorosa, e in questo non c’è grande differenza rispetto alle opere precedenti; ciò che cambia è il livello di invasività e pervasività del suo narrare. Forse la morte della madre l’ha liberato da un vincolo e una reticenza che alla luce di queste pagine appaiono nitidi nei precedenti libri. Qui al contrario si dà una definizione a moltissimi aspetti dell’infanzia e della fanciullezza dello scrittore, risalendo anche alle origini sociali e geografiche dei suoi avi. C’è una ricostruzione quasi sistematica dell’albero genealogico, di tutto il ventaglio di relazioni che ha caratterizzato la storia della sua famiglia. Ovviamente le relazioni non sono mai state facili: ad esempio, nonni materni e paterni non si sono mai incontrati.

Ma questa apertura era inevitabile: con Roderick Duddle Mari aveva raggiunto la perfezione romanzesca, aveva scritto un romanzo puro, escludendosene quasi del tutto come personaggio. La sua vena meta-letteraria trovava il suo approdo perfetto in un romanzo che condensava tutti i suoi grandi topoi letterari preferiti. Per proporre una nuova opera di altissimo profilo Mari doveva quindi riportarsi sul versante biografico, l’altro grande tema. E lo fa questa volta con estrema generosità, aprendosi in modo clamoroso. Ci si rende conto di quanto poco avesse detto finora su suo padre, su sua madre, sulla sua vita concreta, soprattutto da bambino.

Non ho citato a caso l’opera di Svevo. De La coscienza di Zeno questo romanzo ha molti tratti, ma ben camuffati. Il dottor S viene trasformato negli Accademici, ma resta immutata l’idea di qualcuno che costringa l’autore-personaggio a scrivere di sé, mostrando le proprie debolezze. Ci sono i temi classici della psicanalisi: l’eros, l’amico/nemico, il rapporto col padre, le nevrosi, i tic, le scissioni dell’io, il doppio. Mari però limita il suo racconto al periodo che va dall’infanzia all’adolescenza (perché dopo è riuscito a costruirsi le sue corazze), muovendosi ondivago, per temi e opposizioni, alternando accentuatamente i diversi argomenti su cui si arrovella. La struttura in capitoletti viene meno, ma fino a un certo punto: non si torna al flusso di pensieri libero di Rondini sul filo. I tasselli tematici non durano quasi mai meno di una pagina e si distanziano l’uno dall’altro grazie all’inserimento di puntini di sospensione o segni di interpunzione particolari.

I fatti narrati sono particolarmente sensibili, delicatissimi proprio perché mettono a nudo Michele bambino e adolescente. In questo senso, il libro segna una svolta fondamentale: negli altri, Mari si è sempre raccontato come diverso dai coetanei, tutto preso dalla letteratura e quindi poco avvezzo alla vita reale, estraneo alla mondanità. Ma il suo ego letterariamente prorompente era sempre stato protagonista forte, quasi come dittatore spietato che plasma e ordina la sua vita e la proiezione letteraria della stessa, mettendosi sempre in posizione di forza. La maturità ulteriore raggiunta qui è evidente nel momento in cui Mari autore mette Mari personaggio a nudo, esplorandone le più intime debolezze, sessuali, genitali. Non ha paura a mostrarsi come bimbo fragile, preso di mira dai compagni, pieno di tic, costretto a tante miserie, a tante rinunce. La corazza della letteratura, usata per riscattarsi rispetto alla vita, viene qui quasi del tutto smessa.

A quasi trent’anni dall’esordio letterario, arrivano le confessioni più intime mai fatte dell’autore finora. E si capisce anche che la figura d’orco del padre è tale fino a un certo punto, che sua madre Iela molto meno dura è stata anche debole e gli ha dato momenti di infelicità, soprattutto invecchiando. Si comprendono le dinamiche della famiglia Mari, in modo esatto, quasi geometrico. Lo stile alterna sghiribizzi horror nelle parti ambientate al presente a delicata accuratezza nelle sezioni in cui si narra il passato: la ricchezza lessicale non diventa però quasi mai oscurità, la sintassi non si fa mai involuta. C’è un desiderio di arrivare con chiarezza al lettore, al punto che tutti i riferimenti storici, biografici e culturali sono spiegati con note a fondo pagina.

Ne emerge uno stile letterario sempre più documentario, preciso e incontrovertibile. Una seduta di psicanalisi di fronte agli Accademici, che sono la critica, i letterati, ma anche il pubblico, la valutazione dei posteri: essendo il Mari vero oggetto dell’indagine, e non uno Zeno Cosini fittizio, il Mari narratore intende portare elementi a favore delle sue argomentazioni. Da qui deriva la scelta sorprendente delle note, ma anche la presenza di fotografie all’interno del libro. Come a dire: guardate qua, non è tutta invenzione letteraria.

La cosa è particolarmente legata ad alcuni spunti meta-letterari presenti: gli Accademici non vogliono la finzione, non vogliono l’affabulazione letteraria che prende spunto dalla vita. Vogliono la vita vera, la «bio-vita». Bisogna essere degli ingenui per credere che la materia narrata sia vera al cento per cento, dato che è Mari stesso a riconoscere di aver scelto un periodo della sua vita particolarmente adatto alla riformulazione letteraria e di avere una memoria molto selettiva. E quindi? Beh, probabilmente i fatti sono tutti veri, ma sono le elucubrazioni che l’autore costruisce loro intorno ad essere profondamente letterarie. Non false, ma letterarie, amplificate, ipertrofiche rispetto agli spunti reali. E questa cosa non è una novità: pensiamo alla raccolta di poesie, pensiamo a Rondini sul filo. La differenza in questo caso è data dalla quantità di elementi oggettivi, storicamente documentabili, presenti in Leggenda privata rispetto agli altri lavori di Mari. Non dimentichiamo poi che quasi tutte le persone presenti sono ormai morte e quindi non ha da temere reazioni contrariate: suo padre è uno dei pochi ad essere ancora vivo, ma Mari non ha paura di ferirlo, anzi, come detto recentemente, gli sembra irrispettoso nei suoi confronti trattarlo con eccessiva cura e benevolenza. E non è un caso che Mari ne abbia sempre parlato in termini di orco, perché sapeva di non scalfirlo nemmeno.

Tra i momenti migliori, le parti in cui i genitori vengono raffigurati attraverso le loro preferenze nell’uso delle parole; i nomi hanno un’importanza cruciale, ontologica, sia nella definizione dell’identità di Michele, sia nella spiegazione dei caratteri dei genitori. Per cui il padre Enzo odia i diminutivi, la madre invece storpia le parole, con il peggiorare della sua condizione. Quella per le parole è una vera ossessione in quest’opera, ricordando Rondini sul filo, ma con maggiore nitore: alcune tornano come moniti, spauracchi, richiami immediati, correlativi oggettivi di certi sentimenti e paure: basta leggere «culattina», parola-spauracchio per eccellenza qui, per ritornare ogni volta col pensiero a tutte le preoccupazioni di Michelino rispetto al sesso e soprattutto alle aspettative del padre Enzo su di esso.

Oppure, i profili genitoriali emergono attraverso l’analisi di disegni fatti da Michele a 14 anni, come regalo di Natale. L’immagine della madre che resta complessivamente è particolarmente penosa, sbiadita, deformata: si comprende meglio la reticenza dell’autore finora sull’argomento. Alla fine dei conti Mari è particolarmente orgoglioso di suo padre: per quanto sia stato spesso orco, con le sue asprezze l’ha reso la persona e lo scrittore che è.

Un giudizio su questo libro è difficile da dare: la scrittura di Mari non ha bisogno di essere elogiata, ma per quanto riguarda i contenuti, il discorso è più complesso. Forse non è un romanzo da leggere se non si conoscono gli altri. È un libro per lettori affezionati, che già si sono goduti tutto il resto. Partire con questo sarebbe scoprire la materia oggettiva della vita di Mari prima di gustarsene gli infiniti ricami letterari. In questo senso è un romanzo estremamente maturo: segna una nuova fase per l’autore, un approccio diverso, che si può capire ed apprezzare soprattutto se si sono lette le opere precedenti.

Carico i commenti... con calma