Potrà anche sembrare un racconto di fantasia ma le cose andarono realmente così. Era l’estate del ’68 quando Al Kooper fondatore dei Blood Sweat & Tears progetta un album ambizioso in cui conciliare blues, rock e jazz in una fusion che all’epoca poteva ancora sembrare improbabile se non impossibile. Ma come ho detto era il ’68 e soffiavano forte i venti di cambiamento, di sperimentazione e libertà anche musicale. Lui era già ben conosciuto nell’ambiente come arrangiatore e polistrumentista di livello. Il suo organo Hammond aveva fortemente caratterizzato album come "Highway 61 Revisited" e "Blonde on Blonde" di Dylan.

Kooper coinvolge Mike Bloomfield reduce dalla Butterfield Blues Band e sicuramente uno dei più talentuosi chitarristi blues bianchi conosciuto proprio nelle incisioni con Dylan e improvvisano, col supporto di una base ritmica formata da tre elementi, la straordinaria prima facciata di un album straordinario, cinque brani venuti alla luce, si dice, in una unica session di nove ore. Tre  brani sono di loro composizione: su tutti la bellissima "His Holy Modal Majesty" mentre gli altri due sono cover, inutile dire reinterpretate a modo loro. Ma il caso, si sa, è sempre in agguato e Bloomfield a questo punto lascia la compagnia. Problemi di sonno legati ad una sua dipendenza dall’eroina lo inducono ad andar via. La mossa di Al Kooper è di quelle vincenti. Chiama Stephen Stills appena fuoriuscito dai Buffalo Springfield ed in procinto di legare il suo nome a David Crosby e GrahamNash in uno dei grandi supergruppi della storia del rock (Neil Young arrivò in un secondo tempo). Ma non deviamo dalla strada. Stills arriva e nasce una seconda facciata altrettanto straordinaria. Quello che poteva diventare uno strano pastrocchio di generi ed influenze si coagulò, passatemi il termine, in una miscela esplosiva in cui il blues era l’innesco, il rock il corpo, il jazz il colore, la psichedelia il contrasto, insomma una bomba. Non farò noiose descrizioni di brani che sono solo da ascoltare ma non posso non segnalare la cover di Dylan “It Takes A Lot To Laugh, It Takes a Train To Cry” e la cover di Donovan “Season Of The Witch”.

Dopo "Supersession" Kooper e Bloomfield provano a ricreare la magia in un mini tour dove nasce un doppio live di buon successo ma che viene ricordato anche per essere stata la prima registrazione ufficiale di un giovane chitarrista di San Francisco, un certo Carlos Santana che un anno più tardi si farà conoscere a Woodstock… ma questa è un’altra storia. Nel 2003 l’album viene ripubblicato con 4 bonus track di cui una dal vivo ma che non aggiungono niente di fondamentale alla bellezza dell’originale. Mi scuso per la prolissità ma mi sono fatto prendere la mano e l’orecchio. Buon ascolto.

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