Quando guardiamo un film, non siamo mai davvero soli. Con noi ci sono ricordi, dubbi, situazioni irrisolte. Proiettiamo sulla storia qualcosa che ci appartiene, come se lo schermo diventasse uno specchio. In quei momenti, ciò che vediamo parla più di noi che del film. 20th Century Women (2016) è uno di quei film che provocano questo genere di riflessione.
Mike Mills, già regista di Beginners (2010), film parzialmente autobiografico che valse un Oscar a Christopher Plummer, torna qui a raccontare un’altra storia personale, ambientata nel 1979. Annette Bening, bravissima e spesso sottovalutata, interpreta Dorothea, una madre single di 55 anni separata dal figlio quindicenne Jamie non tanto da un conflitto, quanto da un inevitabile gap generazionale.
Nel tentativo di capirlo, Dorothea si affida a due giovani donne: Abbie, coinquilina punk e femminista, e Julie, l’enigmatica amica del cuore di Jamie. Intorno a loro ruota anche William, l’unico uomo adulto, presenza gentile ma sfocata. Ne nasce un’educazione sentimentale corale e imperfetta.
Più che un racconto di formazione, per me è un film sulla distanza tra genitori e figli: inevitabile, anche quando ci si ama. Dorothea è nata durante il proibizionismo, ama Fred Astaire, i crooner, le sigarette senza filtro e un mondo scomparso dopo la Seconda Guerra Mondiale. Jamie vive nella frenesia del punk, dei Talking Heads, della rabbia teatrale di una generazione che non sa cosa vuole ma sa cosa rifiuta. Eppure entrambi cercano un contatto, senza riuscirci davvero.
La narrazione ha un ritmo irregolare, a tratti inciampa, altre volte brilla e non c'è una vera risoluzione finale. Ad amalgamare il film è una malinconia lieve e persistente: per ciò che non possiamo trattenere, per ciò che non capiremo mai e anche per ciò che diventeremo. Infatti, oltre a sottolineare l'impossibilità a capire "l'altro", l'ambientazione di 20th Century Women suggerisce che, dopo essere stati Jamie - protagonisti del nostro tempo - diventeremo Dorothea: più a nostro agio nel passato, meno interessati al presente, forse un po’ spaventati da un futuro che ci escluderà sempre di più.
La bella colonna sonora - da Bowie a Benny Goodman - amplifica con intelligenza e sensibilità questo scontro tra epoche.
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