Non ci dev'essere stata così tanta gente il 3 luglio del 1958, un giovedì, al Newport Jazz Festival, almeno a giudicare dal calore del pubblico. Infatti quando il presentatore, Willis Connover, introduce i membri del gruppo uno ad uno, gli applausi sono sempre pochi e svogliati. Com'è possibile? Nel 1958, sebbene con innumerevoli capolavori ancora nel cassetto, Miles Davis aveva già pubblicato pietre miliari come "Milestones" (appunto), "'Round About Midnight" e "Birth Of The Cool". Ma tant'è, chissà com'è andata davvero quel giovedì 3 luglio a Newport, Rhode Island, di sicuro sappiamo che il concerto fu registrato e il disco che ne venne fuori presenta il sestetto di Miles, con le new entry Bill Evans e Jimmy Cobb, alle prese con grandi classici del suo repertorio.
One, two, three, four e "Au-Leu-Cha", brano parkeriano di prima classe già registrato dal primo grande quintetto in "'Round About Midnight". Tutti i membri del gruppo manifestano la loro vena bebop, così come sarà anche in altri brani, "Straight, No Chaser" di Monk e "Two Bass Hit" di Gillespie/Lewis (entrambe da "Milestones"). Sì, è il bebop che domina questo album, molto più del cool jazz o del modal jazz. Bebop, la radice, il minimo comun denominatore, l'influenza massima. Poche storie, questi sei personaggi derivano il proprio modo di suonare dal bebop, mangiano bebop a colazione, trangugiano bebop a pranzo e cena, questi sei personaggi sanno che il loro autore è il bebop. In fondo, Charlie Parker era morto da soli tre anni e la sua ombra copriva ancora tutto il mondo del jazz, come farà a lungo, come farà, in misura gradualmente minore, fino a noi.
Oltre a questo, c'è spazio anche per il lirismo e la spensieratezza di "Fran-Dance", brano misconosciuto quanto stupendo. Stesso lirismo e spensieratezza che si ritrovano in "Bye Bye Blackbird", canzone popolare riadattata per "'Round About Midnight". Capolavoro in quel disco, comunque incredibile in questo. E, a chiudere, la famosa "The Theme" vero e proprio cavallo di battaglia di Miles in quegli anni.
Si dice che fu Trane a rubare la scena a tutti quel giorno a Newport, anche al più applaudito Cannonball. Sentendo il disco, mi permetto di dissentire: non che Coltrane non sia semplicemente spiazzante (lo è sempre), ma è Jimmy Cobb a emergere qui sopra agli altri. Cobb è un batterista sottovalutatissimo, schiacciato dalla bravura e rivoluzionarietà di Philly Joe Jones e Tony Williams, senza considerare i batteristi con cui Davis suonò negli anni '70 (Jack DeJohnette e Al Foster, per nominarne alcuni). Pur non possedendo l'esuberanza di Williams o l'estro di Jones, Jimmy Cobb è un batterista fuori dal comune, e in "At Newport 1958" ci dimostra che sa portare lo swing come nessun altro (sul serio, come nessun altro) e che sa essere più aggressivo, più bebop, quando vuole.
Ovviamente, tutto il gruppo è carico, dal già nominato Trane al sempre preciso Evans, da Cannonball col suo lirismo bluesy alla semplicità inimitabile di Paul Chambers, che purtroppo, causa la qualità non sempre sufficiente della registrazione, a volte si sente poco, ma se si presta un po' l'orecchio si resta attoniti, strabiliati (come al solito, quando si parla di Mr. P.C.), sia che accompagni sia che faccia i soli ("Straight, No Chaser"). E poi, c'è Miles, naturalmente, e quante parole (sempre troppo poche) sono state spese su di lui! Il Miles del 1958 è un Miles in pieno cambiamento, dal cool al modal jazz si concede qui un ritorno al bebop più puro. Con bei risultati.
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