"Birth Of The Cool" ha il merito di essere un punto di partenza dell'evoluzione della musica jazz. E' un album che viene alla luce nel 1957, frutto delle jam-session tra il 1949 ed il 1959 dell'incredibile Miles Davis e dei suoi eccellenti gregari: J. J. Johnson e Kai Winding al trombone, Lee Konitz al sax alto, Gerry Mulligan al sax baritono, Max Roach alla batteria, Sandy Siegelstein Junior collins e Gunter Schuller al corno francese, John Barber alla tuba, John Lewis e Al Haig al piano, Joe Shulman Nelson Boyd e Al McKibbon al basso.

Il buon Miles ha alle spalle una gavetta lunghissima al fianco di Charlie Parker e Dizzie Gillespie. Il suo sound affonda ovviamente le radici nel jazz be-bop anni '40 e '50, ma è increbilmente personale ed evoluto. Parlare di sottogenere è ingeneroso. L'abilità di Davis è tutta racchiusa nell'inseguire una personalissima chiave interpretativa del jazz e senza troppi ragionamenti si stacca dal be-bop per creare (lo definisce lui stesso nel titolo dell'album) un cool jazz. Il cool jazz è più orchestrale, morbido, ricettibile e subisce contaminazioni swing ed arrangiamenti corposi (da orchestra appunto; pare infatti che gli arrangiamenti siano stati curati anche dal direttore d'orchestra Gil Evans). Svanisce la formula collaudata e "rustica" del trio o del quartetto e si passa ad un suono ricco e ragionato. Tanti strumenti e tanti interpreti non sacrificano però l'opportunità di valorizzare le personali abilità dei singoli che non rinunciano comunque ad esibirsi nei solo, sostanziale chiave del jazz. Se nel 1949 sono tuba e corno, per esempio, a variare la tipicità del suono jazz fin qui conosciuto, negli anni a seguire si passerà a contaminazioni sempre più ardite e alla scontata evoluzione del sound, con varianti rock o fusion. In questa sorta di big band Miles produce un jazz lineare, studiato e rilassato, con sonorità curiose. Insomma, il cool jazz.

L'album, che è il primo da solista di Miles Davis, fa la storia del genere, e va ricordato per i virtuosismi dei singoli e per l'ordine mentale di un artista che nel corso degli anni sarà autore di sperimentazioni. Davis è un mostro di genialità ed ha sempre avuto voglia di varcare confini sconosciuti, dunque difficile da capire al volo. Incredibilmente questo lavoro, che io definirei quasi "timido", illustra poco di quello che caratterizzerà l'evoluzione di questo grande artista del jazz, anche se per i più attenti, dietro la moderazione di un lavoro ragionato e curatissimo, si arriva a percepire un sottile filo di spontaneità ed immediatezza, certo maggiormente in evidenza nelle più coraggiose opere degli anni '60-'70 (vedi acid jazz o jazz elettrico). Un innovatore, multifaccia, multicromatico, odiato ed amato. Una star internazionale.

In "Birth Of The Cool", Davis può al limite apparire un po' imbavagliato, ma il lavoro denota maturità, professionalità, e forte spirito di squadra. Il sound che ne esce è morbido e non si lascia andare troppo spesso a canoni di oggettiva imprevidibilità. Jazz masticabile, strutturato, ricettibile, umano e mediato. Alta qualità sia chiaro. Sostanza e divertimento nelle 12 tracce dell'album. Già dal primo pezzo "Move" si avverte lo spirito bandistico con solo di Miles nella parte centrale. "Jeru" lascia spazio al sax tenore. "Moon Dreams" è crepuscolare, funebre, mentre "Venus De Milo" è opera onirica che suscita diverse sensazioni, insomma credeteci: umore interpretativo decisamente variabile. "Budo" è turbolenta, scandita e sezionata, ma libera nel grande solo di tromba. "Reception" è misteriosa, "Godchild" è grassa e gioiosa. Esperimenti swing in "Boplicity".

Magnifica davvero, da ricordare come simbolo del cool jazz è "Rocker", leggibile, appassionante, totale. Un esempio imprescindibile. La più "coraggiosa" variante di questo eccellente album, con accenni acidi e angoli di imprevedibilità, è la "corrosiva"e meno lineare "Israel" dove si percepiscono le origini be-bop e le influenze parkeriane. "Rouge" mette in evidenza il piano di Haig ed ha un suono corposo ed estetizzante. Chiude "Darn That Dream", con chiari accenni di canto swing-romantici, secondo me un po' periferica all'album.

Personalmente Davis mi confonde a livello viscerale. Ascoltarlo mi regala sempre emozioni diverse. Una volta mi sono accorto di quanto mi portasse alla commozione, altre al fastidio, ma sempre e comunque quando penso a lui, mi vien da sorridere per il personaggio così sorprendente e prezioso. Maturavo la recensione ieri notte, sballottato dalla bellezza di questo cd. "Rocker" mi ha torturato tutta notte. Mi sono svegliato alle 3:28 e l'avevo in testa, ancora alle 5, e poi ancora. Sono emozionato e quindi in bilico tra l'essere professionale ed usare toni sopra le righe. Se è così non importa. Miles se lo merita.

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