Inciso nel 1956, "Cookin' With The Miles Davis Quintet" è un esempio dell'essenza del jazz più classico, frizzante e coinvolgente del dopoguerra. Pur non essendo un lavoro corposo, è innegabile la sostanza dei pezzi presenti. Dal morbido standard "My Funny Valentine" alla più dinamica "Airegin", per arrivare alla strabordante "Tune Up". Un lavoro in cui il quintetto davisiano, in chiave molto amichevole (il titolo predispone come ad una serata mangereccia tra amici) cucina la vostra anima tra le note di grandi classici protagonisti di un jazz ferocemente immortale. E non è solo la presenza di Coltrane o l'abilità di Garland al piano, la snellezza di Chambers al contrabbasso o la prontezza di Philly Joe Jones alla batteria, a far intendere l'immensa qualità del materiale esposto. E' anche un confronto più che amichevole con questi standard che rivivono sotto i colpi abilissimi di un quintetto che cucina duro e morbido senza mai scomporsi. Un vertice di bravura espressa in ogni forma: dallo sfrontato aggressivo al sornione controllato.

Eppure agli inizi degli anni '50, Davis affrontava la prima crisi della sua carriera. La mancanza di lavoro e la sua dipendenza dall'eroina ponevano in pericolo la conferma del talento dimostrato fino a quel momento. Invece no. Nel 1955 Davis presentò il suo quintetto e rivoluzionò ill'ambiente jazzistico del tempo. 

Nei suoi lavori precedenti del trombettista si avvertivano già i tentativi  di trovare un proprio linguaggio strumentale, partendo da elementi come la sonorità e la dimensione. Con il quintetto questi concetti si estendono fino a tramutarsi in forme estetiche. Curiosamente, il modello del trombettista era il trio del pianista Ahmad Jamal nel quale vedeva un senso innovatore dello spazio e del tempo musicale. Seguendo un suggerimento di Davis, Garland inserì alcune caratteristiche di Jamal nel suo originale stile che si ispira anche a Bud Powell.

Il quintetto incise 5 dischi con l'etichetta Prestige e "Cookin'" è l'ultimo di questa serie, appunto del 1956. Davis, aveva imparato da Parker che i dischi si devono fare di getto, senza ripetizioni, ed applicò la lezione a tabula rasa. Questa scelta sottolinea ancora di più la stupenda intesa tra i membri del quintetto. Le personalità dei tre solisti si contrastano e si completano: Davis tesse linee molto sobrie, piene di audaci fessure, Coltrane (all'epoca poco conosciuto sassofonista di Filadelfia) si spinge con urgenza in avanti, con un fraseggio improvviso che fa prevedere avventure posteriori, mentre Garland apporta una specie di gioviale delicatezza melodica nella quale ammansisce la tensione creata dai fiati. La ritmica, da parte sua, risponde a queste evoluzioni come se facessero parte di un piano prestabilito. Tutto succede senza enfasi, partendo da strutture molto lievi, con un repertorio base di standard e di classici del bebop che non pretendono di avere nessuna intenzione rivoluzionaria.

Il campo emotivo del gruppo è molto esteso: dalla dolente astrazione di Davis di "My Funny Valentine" nella quale Coltrane non appare, fino alla cima climatica di "Tune Up" (una delle più famose composizioni del trombettista), segnata dall'impeto travolgente di Chambers e Jones, fino ad arrivare allo swing reinventato di "When Lights Are Low", canzone della quale esistono alcune versioni leggendarie, ma che nonostante ciò, viene assimilata qui con tanta disinvoltura che sembra uscita dalla penna di Davis, scritta per questa sessione immortale.

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