Salve a tutti, questa è la mia prima recensione (o rece, come volete) su un sito internet. Brevemente mi presento: ho 25 anni e sono un VERO amante della Musica. Non ho preconcetti e mi reputo un ascoltatore "totale", anche se il mio grande amore è il Jazz, seguito dalla Classica e dal Rock. Ho studiato pianoforte da bambino e ho cominciato in tempi più recenti a studiare batteria in seguito ad una folgorazione: il mio incontro (metaforicamente parlando) con il grande Tony Williams, a mio avviso il più geniale e sconvolgente batterista di tutti i tempi. Guardacaso, il batterista presente nell'album che mi volgo a recensire.

A soli 17 anni, nel 1963, entra nella formazione di Miles Davis per rivoluzionare, insieme a quel gruppo di geni, l'approccio ritmico-melodico-armonico alla musica improvvisata. Stiamo parlando del cosiddetto "Second Great Quintet" di Miles Davis, comprendente Wayne Shorter al sax tenore, Herbie Hancock al piano, Ron Carter al contrabbasso e, appunto, l'enfant prodige Tony Williams alla batteria. Questa band si differenzia enormemente dal "First Great Quintet" di Miles, nelle cui file militò un John Coltrane ancora alla ricerca di una sua strada personale ma già in possesso di una straordinaria, potentissima voce. Il primo gruppo, più "classico" nell'approccio al jazz: nel repertorio, nella costante presenza di un centro tonale, nell'ordine degli assolo e nelle sonorità. Il secondo più innovativo, in costante ricerca. Forte della presenza di una sezione ritmica di giovani leoni quanto mai predisposta a sperimentare e spingersi oltre, e grazie anche alle numerose composizioni di Wayne Shorter, Miles potè sfruttare al meglio la sua leadership carismatica e condurre questo gruppo in territori vergini. Ecco la "filosofia" di questo gruppo, come esposta da Miles nella sua autobiografia (che consiglio a tutti!): "Se io ero l'ispirazione, la saggezza e il tessuto connettivo per quella band, Tony era il fuoco, la scintilla creativa, Wayne era la persona delle idee e Ron ed Herbie erano le ancore.".

Dopo queste doverose premesse, possiamo cominciare a parlare di "E.S.P.", album del '65, primo da studio di questo gruppo. "E.S.P.", la title-track che apre il disco (frutto della penna di Shorter), é un pezzo veloce che rende subito chiaro che tutto è cambiato rispetto a prima... il ride cymbal (il piatto della batteria deputato alla scansione ritmica) non scandisce più il ritmo swing, se non per accenni; il basso non si limita a suonare i quarti, ma opera contrappuntisticamente; il piano mette in atto dei voicing volutamente scarni e secchi, evitando eccessive risonanze per non impastare i suoni e per lasciare maggior spazio ai solisti; i fiati infine, tirano fuori melodie spezzettate dal fortissimo incipit ritmico. Il primo assolo é del sassofonista, ed é subito in evidenza il peculiare modo di suonare glissato, strisciante, allusivo di Shorter. Qualcuno all'epoca disse ironicamente che il suo stile era simile alle uova strapazzate... Il suo controllo dei contrasti dinamici (potenza e volume nell'emissione del soffio) é davvero magistrale. Seguono Miles con un assolo veloce, pieno di note alte ed Herbie Hancock, che mette in evidenza soprattutto la mano destra. Basso e batteria rendono propulsivo il brano dall'inizio alla fine. La seconda traccia, "Eighty-One" (di Ron Carter), é uno stranissimo blues-non blues dal ritmo boogaloo. Miles sfodera un assolo pieno di groove, cui segue uno Shorter nel registro medio-basso con un suono che talvolta ricorda il miglior Coltrane (ma Wayne é artista a sè, ed é uno sbaglio accostarlo stilisticamente a John). Prende il testimone Herbie Hancock con la solita classe; molto molto funky il suo assolo!

Terza traccia del disco, "Little One" di Herbie Hancock apre lentamente in una nuova atmosfera, realmente lirica e di un triste non patetico, che definirei "pensoso". Assolo minimalista di Miles, cui segue un autentico capolavoro di Shorter...la sua scelta di note, il timbro che ottiene, l'occasionale nota bassa, a volte rauco. Eccezionale! Segue il piano, con uno stile quasi alla Chopin, con sottofondo di Ron Carter che aggiunge molta tensione con un pedale di note ripetute al contrabbasso. Quarta traccia, "R.J." di Ron Carter, é un medium-tempo che, dopo un'apertura intricata, si rivela relativamente convenzionale rispetto al resto dell'album, anche se un bell'assolo di Shorter la rende comunque interessante. Arriviamo al momento più geniale dell'album: "Agitation". Tutto ha inizio con uno stupefacente assolo di batteria di Tony Williams, che senza alzare troppo la voce riesce a creare un dedalo di cambi di tempo, ritmo, pause, cadenze... il tutto con una trasparenza di suono e una pulizia assoluti. Imparerete a memoria e amerete ogni dettaglio di questo affresco sonoro! Entrano gli altri strumenti e ognuno fa mirabilia... godetevi la pura genialità dell'interplay di questi giganti! Il basso merita particolare menzione; ascoltatelo attentamente, in particolare l'improvvisa fuga solitaria che prende quando ormai il brano si é concluso. Un estemporaneo lampo di creatività! Ed ecco "Iris", la perla compositiva dell'album, uno dei più bei pezzi di Shorter. A tratti commovente, é intrisa di altissimo lirismo, che giunge allo zenit negli assoli di Hancock e del compositore. Ultima chicca, "Mood" di Ron Carter; pezzo molto lento, lamentoso (ma non petulante), si basa su un ritmo ripetitivo e "rassegnato". L'assolo di Miles riesce a essere l'immagine musicale perfetta della disperazione e della perdita di ogni speranza. Una nota acutissima arriverà come una stilettata dritta nel cuore... una specie di morte dell'eroe, ormai privo della forza di combattere. Seguono Shorter e Hancock, che pur non raggiungendo in questo caso tali vette espressive, mantengono comunque alta la tensione e il pathos. Notate come Carter e Williams suonino sempre statici senza però mai rendersi noiosi. L'interesse e la tensione restano alti.

Chiudo con un consiglio da amico: procuratevi assolutamente TUTTI i dischi studio di questo incredibile quintetto.
1)"E.S.P." 1965; 2)"Miles Smiles" 1966; 3)"Sorcerer" 1967; 4)"Nefertiti" 1967; 5)"Miles In The Sky" 1968. Solo dopo vi consiglierei di avvicinarvi a "Filles De Kilimanjaro", "Water Babies" o "Circle In The Round". Per apprezzare le origini di tanta intesa musicale, consigliatissimi i precedenti album live degli anni 1963-64 (con George Coleman o Sam Rivers al posto di Wayne Shorter): 1)"In Europe"; 2)"My Funny Valentine"; 3)"Four & More"; 4)"Miles In Tokyo"; e (con Shorter) 5)"Miles In Berlin". Decisamente Miles non significa solo "Kind Of Blue" o "Bitches Brew"!!!

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