Anno di grazia: 1968, la Columbia pubblica "Filles de Kilimanjaro" che prosegue la gloriosa tradizione di avvenenti mogli in copertina iniziata con la ballerina Frances Taylor su "ESP" (1964) e proseguita con l'attrice Cicely Tyson su "Sorcerer" (1966). Tutti i titoli sono vezzosamente in francese quasi a voler omaggiare la musa Betty Mabry, colei che la leggenda vuole avvicinò il trombettista di St. Louis ai divi del rock'n roll (e al mitico Hendrix in primis).
Il primo lato presenta tre brani che proseguono il lento assorbimento da parte del quintetto dei muscolari ritmi funk e rithm' and blues e l'abbandono dell'astratto esoterismo di "Sorcerer" e "Nefertiti"; mentre nel precedente "Miles in the Sky" i due stili infatti ancora convivevano ("Stuff" di Davis vs "Paraphernalia" di Shorter), Davis riprende qui del tutto le redini della parte compositiva indirizzandola verso il ritorno alle radici vere della musica afroamericana seguendo a ritroso la direttiva: jazz-rock - blues - musica africana.
Si parte allora con Tony Williams che martella incessantemente il ritmo sordo di "Frelon Brun" (Brown Hornet) insieme al piano elettrico di Chic Corea (uno dei tanti pianisti spinti in quel periodo da Davis ad abbandonare il pianoforte per sperimentare le sonorità elettriche) utilizzato in funzione prettamente ritmica. Si modifica poi una cellula di "The wind cries Mary" di Hendrix per creare quella meravigliosa microfisica del blues che è "Mademoiselle Mabry" in cui le disgiunte frasi blues iniziali di Corea ed Holland (liberamente contrappuntate da Williams ai tom toms) si ricompono nei due stupendi interventi di Davis alla tromba e (sopratutto) Shorter al sax. Si arriva infine alla title-track (le "Filles D'Avignon" all'ombra del Kilimanjaro) in cui Davis recupera finalmente quel sognante "sentimento d'africa" (che l'anno seguente esplorerà in "Bitches Brew" nei suoi aspetti più viscerali): quì invece è ancora la grazia incarnata nella tromba di Miles (probabilmente ai suoi massimi livelli anche tecnicamente) a librarsi sugli arabeschi disegnati da Hancock al piano elettrico e sul tappeto ritmico di Carter-Williams.
"Filles de Kilimanjaro" opera seminale e misteriosa: uno dei dischi di Miles che più amo.
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