Il secondo giorno è sempre meglio del primo. In questo caso il sabato è meglio del venerdì, che già non scherzava per niente. Alcuni brani ("Walkin'", "If I Were A Bell", "On Green Dolphin Street" etcetc) si trovano sia in "Saturday Night" che in "Friday Night", ma ciò non toglie freschezza e identità a nessuno dei due dischi.

Miles sembra tornare un po' alle radici bebop, la sua tromba stride e fa impazzire, e contrasta col più bonario sax di Hank Mobley. Una delle sue ultime apparizioni al fianco di Davis, al quale non piaceva più (e forse non era mai piaciuto del tutto) il suo modo di suonare. Eppure qui, come altrove, Mobley da prova d'essere un grande musicista, le cui pennellate non stonano con i colori dipinti dal quintetto. Ma semplicemente Miles non aveva ancora dimenticato John Coltrane, ed è comprensibile. La sua ombra, che siederà vicino ad ascoltare a ogni sassofonista del gruppo almeno fino a Wayne Shorter, è particolarmente opprimente su Hank Mobley. Ne è prova la scelta di un repertorio che di coltraniano qualcosa ha senza dubbio, basti pensare a "'Round Midnight", "Two Bass Hit" e "So What". Una "So What" ben diversa da quella di "Kind Of Blue", qui non c'è quell'atmosfera fumosa, il tempo è velocizzato, si punta più sull'impatto, c'è più aggressività (come in tutto l'album tra l'altro). Ed è proprio in "So What" che Mobley cita palesemente, durante il suo solo, il tema di "Mr. P.C.". Un ringraziamento e un incitamento a Paul Chambers che divideva con lui il palcoscenico, ma anche un ovvio pensiero a Coltrane, che quel brano l'ha scritto e registrato su "Giant Steps". Sembra quasi una sfida, e sicuramente è la prova che quel fantasma di cui sopra c'è, eccome se c'è.

Lasciando da una parte paragoni e considerazioni che in fondo lasciano il tempo che trovano, stiamo parlando di grandissima musica. Di una serata riuscita, di cinque musicisti in vena (Wynton Kelly al piano, Jimmy Cobb alla batteria), di gente che applaude perchè consapevole di assistere a un bello spettacolo. E chissenefrega se le note incise qua non hanno cambiato la storia di Miles Davis nè quella del jazz (quella è prerogativa di poche note di poca musica). E' per questo che non bisogna prendere per oro colato le recensioni, i giudizi che non sono i propri, le opinioni dei critici. Perchè anche nella più sconosciuta delle registrazioni può essere nascosta un'emozione, una bella idea, un capolavoro ignorato. In fondo, così è per quel weekend a San Francisco.

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