Per un recensore in erba, Alias Quijote (l'hidalgo della Mancia) è quasi un dovere partire da qui. "Sketches of Spain" di Miles Davis incanta e sorprende. Lo ami se ami la tromba di Miles, se poi ami anche le atmosfere andaluse nelle quali il nostro magico pifferaio si cala alla perfezione, beh allora che dire... Inizierei proprio dal suono morbido della tromba: forte e gentile allo stesso tempo - che negli "Sketches" assume un carattere di drammatica malinconia - per passare agli arrangiamenti impeccabili di un Gil Evans in stato di grazia e la magia e la potenza di un'orchestra a diciannove elementi... insomma un disco che bello è dir poco.

Io prediligo il vinile: anche per dar un po di respiro ad una copertina davvero godibile. I colori della patria del Flamenco sotto, e sopra l'uomo nero con la tromba: stesso colore del toro, speculare e alla carica. Le allusioni sarebbero fin troppe per noi e non è questa la sede. Le note di copertina a cura di Nat Hentoff (The Jazz Review) ci informano sulla genesi dell'opera. Anno 1959: un amico di Miles gli fa ascoltare una registrazione del Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo. Due settimane di ascolti intensivi e il Neo Matador ha deciso che deve entrarci dentro, cosi propone a Gil di farne una loro versione, sostituendo alla chitarra solista originale, lo strumento dalla sordina gracchiante. A pensarci è una roba da pazzi scatenati, ma ancora una volta ha ragione l'uomo nero. Certo scordatevi il bee-bop, ed anche gli artifici modali di Kind of Blue. Qui la contaminazione è reale; è roba forte e come sempre, quando il gioco si fa duro...  

Il primo pezzo, Concierto de Aranjuez, è anche il più importante: godetevelo in penombra, meglio se in cuffia. Chiudete gli occhi e pensate alla Spagna, la grandezza e le tragedie. C'è tutto nel perfetto arrangiamento orchestrale il cui ritmo cadenzato costituisce la base perfetta per il  suono struggente della tromba di Miles  nel suo Cante Hondo che incede solenne e senza sbavature, allungando gli spazi fino a diventare marziale, quasi funereo, per poi rinascere in un lampo di speranza, allorche dei sinistri presagi si affacciano minacciosi... fino alla fine, immanente e perfetta. Sorprende la facilità del nostro eroe nell'indossare i panni dei gitani andalusi, vestendone le atmosfere e trasformandole in sentimento forte e puro. Si dice che gli altri pezzi siano stati aggiunti furbescamente per coprire le due facce di un LP. Comunque sia non deludono affatto. Will O' The Wisp (fuoco fatuo) si apre con l'orchestra che introduce un motivo dal suono presago di mistero. Il tema subito annunciato si ripete in maniera ossessiva. Qui il tono è graffiante ed evocativo fino a perdersi in dissonanze discendenti che portano alla fine del pezzo. Meno di quattro minuti ed eccoci alla fine del lato A del Vinile.

Giro il disco e calo lentamente il braccetto.

La tromba sordinata compare dal nulla accennando l'intro di The Pan Piper. Siamo dall'altra parte dell'oceano con un brano tratto dal folklore Peruviano. Si tratta del Suonatore del Flauto di Pan, canto popolare Andino in cui l'orchestra fa da contrappunto al solista in una sorta di pacato call and response in salsa Flamenco. Con Saeta il disco tocca un'altra vetta espressiva degna di nota. Se visitate la città di Siviglia durante la settimana santa, probabilmente vi imbatterete in una "Saeta". Una processione si dirige solenne verso una piazza con un balcone da cui si affaccia il "Saetero" E' il cantante solista che nel silenzio improvviso che si viene a creare, intona il suo canto profondo, spesso improvvisato, che colpisce al cuore come una freccia, (questo il significato di "saeta") la freccia che trafigge il cuore di Maria alla morte del Figlio. Vi ho detto praticamente tutto; ascoltate il pezzo e preparatevi a versare più di una lacrima. Chiude il lavoro Solea. Questo è il nome di uno degli stili basici del Flamenco. Nella Solea tradizionale, il  cantante solista mescola abilmente improvvisazione estemporanea e rispetto dei canti e dei testi tradizionali. Ne esce un mix di pregevole rilievo artistico. Gil Evans sceglie questa forma musicale per esaltare le doti artistiche di Miles. E' il terreno nel quale il Jazzista si muove meglio e questo brano forse più degli altri ce ne da ampia dimostrazione. In un misto di nostalgia e disperazione Miles cavalca le battute dell'orchestra che avanza incessante. La tradizione del Flamenco si mescola al lamento blues degli Afroamericani. Gran pezzo e gran prova non c'è che dire.

Mentre il braccetto ritorna in posizione di riposo provo a fare un bilancio conclusivo di questo LP.

Collocare questo lavoro nella folta discografia di Miles Davis è arduo se non in chiave puramente cronologica. Si tratta di un interpretazione unica che non è facile inquadrare nella sua parabola artistica. Secondo me, un cammeo di grande valore che prova ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, come egli sia stato uno dei maggiori protagonisti della scena del Jazz del XX Secolo, capace di misurarsi su più livelli artistici e reinventando continuamente il suo strumento e la sua musica.

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