Stamattina (17 Marzo 2006) ero in treno per Bari, come al solito, causa università. Non era una mattina qualsiasi. Tenendo conto di quanto il tempo meteorologico influenzi il mio umore, un cielo uggioso che sovrastava i treni della stazione non era certo un toccasana per la mia anima un po’ depressa. Non me so spiegare con certezza: so solo che, a volte, capita. Capita di sentirsi giù, stanchi, di ripensare un po’ alla propria vita e a quello che si è combinato negli ultimi anni. Capita di sentirsi malinconici e nostalgici a pelle, per un qualcosa che non si sa nemmeno bene cos’è, o forse lo si sa inconsciamente e non lo si vorrebbe sapere. Capita che ci scappi anche una poesia (come nel mio caso). Già, capita.
Capita anche che su questo sfondo grigio-perla si voglia intonare qualche nota a far da colonna sonora a questo piccolo tormento. Certo non era un problema: considerando che, da quando prendo il treno di continuo, ascolto musica praticamente 8 ore al giorno, mi bastava dare una leggera spulciatine al paccone di CD che mi porto appresso e sceglierne uno che facesse al caso mio. Poi mi ricordo: ma il collega openmind non mi aveva chiesto di recensire i Minsk? Già… Considerando che io adoro il post-core, considerando che lo adora anche openmind e che lui è una garanzia, mi sono detto: forse oggi è il giorno migliore per ascoltarli.
Bene, lo ammetto, commisi un piccolo errore. In quel caso, come mi succede altre volte, mi sono accostato al disco con l’intenzione di scriverne una recensione. Questo non è un male, intendiamoci: ma per album di questo calibro non è forse il modo giusto per avvicinarsi. Io però ero di animo inquieto in quel momento, e cercavo uno sfogo. Riusciranno i Minsk a darmelo? Vediamo, pensai… Premo PLAY, chiudo gli occhi… e aspetto.
L’atmosfera è soffusa. Aspetto il botto da un momento all’altro. Eccolo che arriva: il cielo diventa nero. Inizio a pensare di non aver messo per sbaglio un disco dei Neurosis nel lettore… Poi però mi ricordo che i Neurosis non me li ero portati apposta perché avevo i Minsk! No, no, questi sono proprio i Minsk. Acci, ma questa è l’apocalisse, penso. Sembra di sentire una versione ancora più viscerale di Von Till, se possibile, penso ancora in quel momento. Le distorsioni si susseguono in un fiume in piena, poi tutto si calma, arriva un giro ipnotico che mi solleva da terra e non sa se farmi piangere, disperare, o se farmi dimenticare tutto il resto, la mia malinconia, i miei pensieri, la mia vita. Non ha importanza. Il treno corre, gli alberi sfilano come in una danza ancestrale, e i Minsk la controllano appieno. Poi la malinconia diventa speranza, e la speranza si trasforma velocemente in rabbia, ferocia pura e annichilimento, apocalisse sonica. Io non capisco più nulla: ma chi sono questi??? Ma da dove sbucano? Non è possibile… Io non avevo mai sentito parlare di un gruppo del genere finora? Non ci credo… Rimango lì, allibito, mentre la distruzione corre in sottofondo… E si perde nel nulla.
No, non c’è tempo, nemmeno per pensare. Inizia il secondo brano, “Narcotics And Disecting Knives” e sembra ci sia il fantasma di Aaron Turner in mezzo al gruppo. Questa volta è davvero il viaggio… E’ la musica che mi fa viaggiare, non il treno nel quale sono seduto. Lenti giri di chitarra, ipnotici e delicati, che risalgono come una marea e si rifrangono sulla sponda, poi un riff che macina e distrugge tutto, e sono nuovamente i Neurosis a riprendere in mano il trono. Questo è sublime. Non so cosa più pensare, sono inibito, i Minsk mi hanno iniettato una dose di morfina nel cervello. E’ allucinante. Ho voglia di andare indietro e risentire ancora quel riff, ma non ci riesco, vado avanti per inerzia ad ascoltare il resto del pezzo, non ce la faccio, hanno vinto loro. La melodia si spezza, risale, è come un torrente che scende nel mio cervello e provoca uno tsunami mentale, indescrivibile, apocalittico.
Quando l’atmosfera si rilassa, siamo solo alla terza canzone, e io sono già cotto. Volgo gli occhi al finestrino, e la natura diventa un tutt’uno con le note… Sono avvolgenti, estatiche. Gli alberi, il vento… Il sole brilla nel cielo… Ancora per poco.
Ecco che il treno entra in una galleria, e per coincidenza, vi entra proprio appena la canzone esplode nel suo vortice distruttivo. E le luci nella cabina sono spente. E’ tutto buio intorno a me, sento solo la velocità sulla pelle, e la musica dei Minsk mi riflette in uno stato di pacificazione spirituale… Appoggio la testa sullo schienale del sedile… Guardo la galleria che scorre… Mi abbandono al vortice di “Holy Flower Of The Northstar”… E GODO. Un’esperienza unica e allucinante, bellissima. Il viaggio mentale si univa al viaggio fisico e diventava un tutt’uno con esso. Sono rari i gruppi che sarebbero riusciti a farmi provare quelle sensazioni… i Minsk ci sono riusciti.
Esco dalla lunga galleria, e riappare in cielo il sole lucente. Ma io on lo vedo. A me sembra di rimanere ancora in galleria, mi sembra di essere accerchiato ancora dal buio più totale. Allora non era solo un’impressione: i Minsk si impossessano di te, se ti concedi a loro. Così scorrono le altre canzoni… Come non citare “Bloodletting And Forgetting”? Una chitarra acustica e un vento mistico creano un’atmosfera che avvolge e stordisce i sensi. Una lenta voce pulita si erge come un’invocazione. La melodia va avanti, e sembra tanto tranquilla e pacata quanto intrisa di disperazione, al suo interno. E’ sottile, ma si riesce a cogliere. Così cresce ancora, e l’apocalisse scende ancora su di me. Così l’ultima canzone, l’ultima melodia, stavolta totalmente ancestrale, chiude lentamente l’album. Sembra un grido di speranza che risale dalle ceneri dell’apocalisse, che prima aveva annientato ogni cosa intorno a sé. Un grido ipnotico e tormentato.
Se sono molti i gruppi che hanno raccolto l’eredità dei Neurosis, i Minsk sono quelli che ne hanno incarnato l’essenza, e la hanno gettata fuori violentemente. Nient’altro da aggiungere…
Allucinanti.
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