Napolitano ha intenzione di concedere la grazia a Sofri e (così si mormora) di concedere un'amnistia per i reati minori; questo potrebe essere un punto di partenza per graziare anche la mia recensione sui Cannibal e liberarla finalmente dalle segrete di Debaser... In ogni caso, torno fiducioso a tormentarvi con la mia cronica fissa per il metal estremo... apprezzate il sacrificio visto che domani ho la matura...

I Misery Index, band del Maryland, sono nati nella seconda metà degli anni novanta dalle ceneri dei Dying Fetus: più precisamente, per quanto quest’ultimi siano sempre attivi, un paio di membri hanno “disertato” dando origine a questa “gustosa” realtà musicale.

Dopo una buona prova nell’Ep “Overthrow” del 2002, i nostri vengono messi sotto contratto dall’imponente Nuclear Blast, una delle etichette leader nell’ambito del metal estremo e “mica tanto estremo”. Inutile dire che da quel momento i nostri hanno un po’ calato le braghe di fronte agli impegni discografici, dando alle stampe nel 2003 un cd come “Retaliate” che accontentava un po’ tutti rinunciando all’intransigenza del sopraccitato mini cd; tuttavia il lavoro si era dimostrato inattaccabile perché, commercializzato o meno, riusciva nell’ intento che questo genere si propone, ovvero esprimere nella maniera più efficace possibile sentimenti eversivi di ogni ordine.

Il loro sound, mix tra l’hardcore punk della scena Newyorchese e il Brutal Death più violento, era infatti qualcosa di veramente nuovo e giovane, versione rivisitata della proposta del gruppo di provenienza dei fondatori, i Dying Fetus per l’appunto. Memore della potenza, della linearità e della conseguente facile “digeribilità” di quel disco, mi sono apprestato a procurarmi anche questa recente fatica della band questa volta targata Relapse Records, “Discordia”, sul quale nutrivo grandissime speranze: purtroppo tante delle mie aspettative sono rimaste insoddisfatte, soprattutto a causa della mancanza di nuove idee e di composizioni capaci di “rapire” l’ascoltatore.
La formula è rimasta invariata rispetto al precedente album, forse troppo invariata, priva di un’evoluzione e tremendamente uguale; tuttavia non posso dire che questo sia il principale difetto perché come ho detto prima la proposta aveva secondo me ancora molto da dire. La pecca più grande è la composizione delle canzoni di questo “Discordia” la quale, per quanto curata e molto articolata, finisce per lasciare l’ascoltatore con in mano un pugno di mosche.

Cambi di tempo repentini, ritmiche serratissime e chitarre di una violenza immane non bastano a coinvolgere chi si ricorda delle vecchie canzoni, tutt’altro che incolori ed insapori. Permane la tendenza a privare il Brutal Death più puro di quelle atmosfere tetre e pesanti che tanto amano gli “intenditori”, sostituendole con altre, tipiche del Punk, dal più ampio respiro ma dalla maggiore aggressività: tuttavia il risultato è insoddisfacente e, a parte pochi episodi come l’opener “The Unmarked Graves”, le canzoni sono solo tiepide, completamente menomate di quella furia della quale erano intrise le song di “Retaliate”.
Niente da dire sul tasso tecnico, sempre altissimo per ogni membro; il batterista mantiene velocità molto elevate ricche di controtempi e fisicamente molto impegnative. Non si può dire che l’originalità sia il suo forte (il suo drumming è abbastanza ripetitivo e consolidato su blast beat e altre ritmiche tipicamente Punk), ma la sua prestazione è comunque buona e in grado di sviluppare una massiccia dose di rabbia. Stesso discorso per i chitarristi, forse tecnicamente meno preparati (le partiture si basano su accordi devastanti ma non impossibili da eseguire) ma funzionali al tipo di mood che si vuole suscitare; si fanno più insistenti alcuni riff per così dire “melodici” presenti in misura minore anche nel precedente disco anche se non riescono a commuovere (nel senso etimologico del termine) più di tanto.

Come è consueto, del bassista nemmeno l’ombra se non in pochissimi stacchi, colpa soprattutto di una produzione che, per quanto nitida, finisce per mettere in risalto solo chitarre e batteria. Sopra tutto questo, un buon growling, decisamente pulito e “alto” ma di sicuro più appetibile e feroce di quello di John Gallagher, ex collega del cantante in questione ai tempi della militanza nei Dying Fetus. Avrete capito che le deficienze non sono assolutamente di tipo tecnico ne compositivo, ma riguardano proprio l’inutilità di questo disco, dotato di due o tre canzoni carine e altre sette o otto che non sono altro che aborti: un mood annacquato (nonostante a livello tematico continuino le iraconde invettive contro il Sistema) e un sound per niente rinfrescato fanno di “Discordia” un lavoro discreto ma sul quale si può soprassedere senza remore di alcun genere, anche se rimane molto amaro in bocca per quello che, a livello potenziale, questi cinque americani sarebbero in grado di fare.

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