Sembra tutto semplice visto così, Sherwood chiama a raccolta la sua gentaglia della rinomata cricca ON-U sound, mi piace pensarli pressati in un'umido scantinato zeppo di macchinari, bobine di nastri e sub-woofer adibito a base per le registrazioni in qualche palazzone grigio piombo nei sobborghi di Londra, un bel po' di ganja per creare il giusto ambiente, un nuovo progetto che durerà giusto un disco...ma c'è disco e disco, e questo è uno di quei casi in cui il peso specifico di un solo album assume proporzioni spaventevoli, eh no... di semplice non c'è un cazzo di niente.
Sherwood è un genio, non verrà mai ripetuto abbastanza, il figlio mutante e post-industriale di Tubby, Scientist e di tutto l' ultra minimalista dub sfonda sub-woofer made in Jamaica , manipolatore di suoni espressionista toccato da mano divina, creatore, despota, dittatore, presidente a vita del regime dub-avanguardista marca ON-U sound, LA label dub che dettò le regole di certi suoni per tutti gli ottanta e gettando inesorabilmente le basi per il futuro.
L'ARTE COME ZONA DI GUERRA
Nulla venuto fuori fino a quel momento suonava come questo Warzone, cosa che cominciava ad essere abituale in casa ON-U, quindi tutta roba che sembra stata registrata ieri, suoni debordanti personalità e creatività fuori controllo, il tutto però pare inserito in rigidi schemi geometrici atti a contenere (a fatica) la mole di suoni e distorte manipolazioni inferocite imbastite dalla gang stipata nel fumoso scantinato.
Basterebbe "Gentle Killers" per rendersi conto a che cosa siamo davanti, bassline minacciosa e viscida, un' abulico piano jazzato, la voce di Annie Anxiety, sinistramente sensuale, pregna di noia leopardiana serpeggia tra ondate elettroniche abrasive ed oscene, che dire dell' opener "Crocodile's Court" trasudante decadenti atmosfere latino americane e caraibiche (che aleggeranno per tutto il disco), percussioni tribali, loop di fiati andini e secche ritmiche hip hop, in "Savanna Prance" si ergono splendenti e tremolanti visioni paradisiache immerse in fitte giungle di poliritmie tribaloidi inquiete, il groove sempre presente, i mostruosi squarci rumoristici deflagrano lungo tutto il brano, i vocalizzi, questa volta affidati a Shara Nelson, sono surreali e sussultori lamenti estatici e vividi.
Ogni brano gronda copiosamente di una psichedelia austera ed intimidente, vive di contrasti, amalgama tensione e febbrile carica ultra-espressionista deformante.
Le bassline come mostruosi ibridi dub-funk mutanti e quasi ballabili, melodie riflessive, ambigue, portanti con sè uno straniante sentimento arcaico ed esotico completamente ed incessantemente trivellate dalle manipolazioni elettroniche spesse, ondivaghe e disturbanti, in un pezzo come "Igloo Inn" tutto questo concetto sonoro assume proporzioni assolute.
Picasso disse che per lui la pittura era uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico, per i Missing Brazilians la musica pare essere un continuo atto sabotativo in cruente azioni di guerriglia lampo.
"crucified on the fence...in the dead of daylight".
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