John Smith Hurt cresce ad Avalon nel Mississippi, a 9 anni impara a suonare da autodidatta la chitarra, con il passare del tempo comincia a fare musica alle feste di paese e via via la sua tecnica si affinava sempre più, fino a trovare una propria ed unica cifra stilistica, fatta di arpeggi veloci suonati con la tecnica del fingerpicking e connotata da uno stile decisamente sicopato. Un bel giorno, dopo una breve audizione, un produttore della Okeh Records gli propone di incidere alcuni pezzi sotto il nome di Mississippi John Hurt in modo da evidenziare la sua zona di provenienza. Le registrazioni avvenute nel febbraio del 1928 e nel dicembre dello stesso anno, sono in totale 13 e si trovano raccolte in questo "Avalon Blues – The Complete 1928 OKeh Recordings" tra l'altro con una rimasterizazione magnifica.
Nessuna di queste incisioni avrà successo commerciale e Hurt senza tanti problemi tornerà al suo lavoro principale, vale a dire, quello di contadino.
Ma l'insuccesso commerciale non va di pari passo con la qualità della musica espressa. Questi pezzi sono la testimonianza dell'unicità di Hurt, e del suo country blues intimo e tranquillo, la voce calda e malinconica, che preferiscie sussurrare sottolineando solo in determinati momenti i passaggi fondamentali del testo, si accompagna con una chitarra dal suono lirico ma deciso, e tutto questo fa emergere prepotentemente la purezza e la veridicità della sua musica e della sua persona. Se non si è capito, sottolineo che siamo davvero lontani da quello che verrà denominato il blues del delta, decisamente più ruvido e duro. Già con la preziosa versione di un tradizionale come "Frankie" (che apre il disco) si capisce che Hurt ha un approcio differente, asciutto, ed ha un'autorevolezza e una naturalezza impressionante per veicolare il messaggio e le emozioni e gli basta davvero il "minimo" per far risaltare tutto questo.
"Avalon Blues" è una ventata di purissima poesia, è un canto d'amore verso le sue radici più profonde, un inno per il paese in cui ha praticamente sempre vissuto e da cui non si è mai voluto staccare.
"Stack O' Lee" è un altro tradizionale, in cui sembra spirare un leggero e malinconico vento e nel finale, a terra c'è il corpo del crudele O'Lee, appena giustiziato, ma con il suo canto triste Hurt sembra volerci dire che alla fine nessuno ha vinto anche se, come si suol dire, giustizia è stata fatta.
Altro classico è "Candy Man Blues" un regtime che ha il sapore di una ballata rurale, cantata con leggero humor che ben si adatta al divertente testo dal non troppo velato doppio senso. L'album si chiude con un ultimo gioiello, la delicata ballata "Spike Driver Blues" che è una varianzione di Hurt su un altro canto tradizionale, vale a dire, "John Henry".
Già, caro John Hurt, con la tua faccia che ricorda quella di un ranocchio che è appena balzato fuori dalle acque limacciose del Mississippi, hai saputo fare musica in maniera semplice e con uno stile che mi piace definire di soave incisività, per questo e anche per il tuo modo di vivere rimani e rimarrai un unicum in tutta la storia del blues.

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